C'è un brano nel Giardino dei Finzi Contini, dove il protagonista, sconvolto dal dolore per l'amore non ricambiato da Micol, nonché sconfitto dal mondo, torna a casa e incontra il padre (nel film che fu realizzato da Vittorio De Sica - il padre è impersonato dal grandissimo attore che fu Romolo Valli), dicevo - c'è un brano che a mio avviso è toccante, il padre che parla al figlio-protagonista:
Ti passerà - continuava - ti passerà: e molto più presto di quanto tu non creda. Certo, mi dispiace, immagino quello che senti in questo momento.
Però un pochino anche ti invidio. Nella vita, se uno vuol capire, capire veramente come stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta.
E allora, dato che la legge è questa, meglio morire da giovani, quando uno ha ancora tanto tempo davanti a sè per tirarsi su e risuscitare ...
Capire da vecchi è brutto, molto più brutto.
Non c'è tempo per ricominciare da zero.
E' un blog che nasce dal desiderio di descrivere la Natura nei suoi aspetti stagionali, anche con riferimento ai miti. Si è allargato poi a riflessioni sulla società e sull'individuo, passati e attuali. Non mancano poesie d\'autore e qualche pagina tratta da libri
sabato 28 febbraio 2009
Un padre
Etichette:
film,
Il giardino dei Finzi Contini,
padre,
Romolo Valli,
Vittorio De Sica
Il giardino dei Finzi Contini
Pubblicato nel 1962, Il Giardino dei Finzi Contini fa parte di quel grande organismo romanzesco cui Giorgio Bassani lavorò nel corso di quarant'anni.
Il romanzo di Ferrara che comprende:
Dentro le mura, Il Giardino dei Finzi Contini, Dietro la porta, L'Airone, L'Odore del fieno, Gli Occhiali d'oro ... Romanzi autonomi, ma legati intimamente fra loro da una visione poetica comune e da una ambientazione che diventa anche simbolo di un modo di guardare la storia.
Ferrara, con le sue strade larghe e silenziose, i vecchi ghetti, la malinconia sottile e piacevole di un’esistenza sospesa in un’eterna provincia, tra i fasti universitari di Bologna e i poetici languori di Venezia; le nebbie lattiginose, da cui affiorano a tratti sagome scure, fantasmi che solo all’ultimo momento rivelano la loro vera identità di case, alberi, muri.
L’io narrante de Il giardino dei Finzi Contini vive immerso in questa atmosfera, e di questa atmosfera vuole restituire il sapore, in un romanzo che nasce e si sviluppa sul lento, assiduo movimento del ricordo.
Il prologo esordisce con l’immagine della necropoli etrusca di Cerveteri, meta di una scampagnata del protagonista insieme ad alcuni amici, una domenica d’aprile del 1957.
La particolarità del luogo suscita nella compagnia una riflessione sulla morte e il ricordo di chi ci ha lasciato, sempre più labile con il passare degli anni, fino a dissolversi del tutto.
" Le tombe antiche fanno meno malinconia di quelle più nuove?" chiede Giannina, la più piccola del gruppo, ed è come se da questa domanda scaturisse il flusso narrativo che dà vita all’intero romanzo, recuperando un tempo passato, ma solo per accorgersi che mai, neppure quando era presente, lo si è posseduto veramente.
" riandavo con la memoria agli anni della mia prima giovinezza, e a Ferrara, e al cimitero ebraico posto in fondo a via ".
Non è un caso che sia proprio un cimitero ad aprire la lunga rassegna di ricordi dell’io narrante; le immagini di morte sono ricorrenti nel romanzo, avvolte di un’aura mai lugubre o drammatica, ma dolcemente malinconica.
Anche della tragedia umana dei Finzi Contini, illustre famiglia ebraica travolta e distrutta nei campi di sterminio nazisti, il lettore non avverte l’orrore e l’immane peso storico, ma solo il languore elegiaco di un amore perduto.
All’epoca delle leggi razziali, un gruppo di giovani ebrei benestanti di Ferrara si trova escluso dai circoli sportivi, dalle biblioteche e dai luoghi di ritrovo pubblici: è l’occasione che spinge gli alteri Finzi Contini a sciogliere il proverbiale riserbo, mettendo il loro leggendario giardino a disposizione dei giovani, ebrei e non, coetanei dei figli Alberto e Micol.
Il giardino diventa così un luogo sospeso, a-storico,
dove lo spensierato snobismo dei suoi nobili abitanti sembra voler cancellare con la noncuranza e il disinteresse quanto sta avvenendo oltre le mura secolari che ne delimitano i confini.
Il fascino misterioso e antico di questo microcosmo, apparentemente inattaccabile, del tutto bastante a se stesso, attrae irresistibilmente il protagonista, che si innamora di Micol, parte di quel mondo ma, nello stesso tempo, l’unica a saperlo guardare con distacco e con triste ironia, l’unica che, talvolta, provi a scavalcare quelle mura, come faceva fin da ragazzina, eludendo la sorveglianza di portinai e governanti.
Ma questo amore appassionato e struggente non verrà mai vissuto: Micol lo allontana, consapevole che le persone troppo simili non possono amarsi davvero, perché «l’amore ( era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda, uno sport crudele, feroce ... da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d’animo e onestà di propositi».
E forse, (ma è un dubbio, solo un dubbio che l’io narrante non vuole sciogliere, né per se stesso né per i lettori), Micol un amore di questo tipo lo ha trovato, in Malnate, giovane frequentatore del giardino, milanese, comunista militante, che guarda alla vita e alla storia con ben altra energia e concretezza che i Finzi Contini.
Alla fine del romanzo, la rinuncia del protagonista a Micol corrisponde con la sua entrata nella vita vera, con tutto il suo peso di dolore e responsabilità, con la nuova consapevolezza che il mondo protetto e incantato de Il giardino dei Finzi Contini si reggeva solo su valori appartenenti al passato, che le parole di Micol erano " solite parole ingannevoli e disperate che soltanto un vero bacio avrebbe potuto impedirle di proferire"
Il giardino dei Finzi Contini
Einaudi Tascabili, 1999
Etichette:
citazioni,
Ferrara,
Giorgio Bassani,
Il giardino dei Finzi Contini
venerdì 27 febbraio 2009
Un improvviso colpo di vento
Ha conservato il suo colore rosa il fiore
nel buio della notte.
Quando una lama lo tagliò non ci fu terrore,
non ci fu dolore, per il fiore
fu come un improvviso colpo di vento.
(da Credere all'invisibile di Cesare Viviani - ed. Einaudi)
nel buio della notte.
Quando una lama lo tagliò non ci fu terrore,
non ci fu dolore, per il fiore
fu come un improvviso colpo di vento.
(da Credere all'invisibile di Cesare Viviani - ed. Einaudi)
giovedì 26 febbraio 2009
La casa e il feng shui
Scrive Victoria Moran in "Una casa Serena":
L'antico sistema cinese del Feng shui è uno dei metodi per allineare le energie delle stanze e degli edifici con quelle della natura.
Significa letteralmente "vento ed acqua" ed è nato da un popolo contadino che comprendeva bene la propria dipendenza dalla natura.
Nel corso dei secoli è stato influenzato sia dall'equilibrio taoista, sia dall'amore per la coesistenza armoniosa di tutti gli esseri del buddismo.
Proprio come la medicina cinese afferma che il flusso di energia vitale (chi), deve scorrere senza ostacoli per poter avere un corpo sano, il feng shui suggerisce che - permettere al chi di muoversi libero attraverso la struttura edilizia -porta ad avere un edificio sano.
Il feng shui prospera con l'ordine, mentre il caos ne interrompe gli effetti.
Un feng shui efficace ha un buon influsso sulla psiche umana e le persone che ce l'hanno in casa o sul posto di lavoro stanno bene fisicamente ed emotivamente, sono creative, prospere ed hanno relazioni affettive soddisfacenti.
Quando un posto ha un feng shui scarso, succede l'opposto.
Ci sono comunque delle cure indicate per un'architettura poco armoniosa: uno specchio piazzato bene, prismi di cristallo, campane a vento, piante, quadri di paesaggi o foto di famiglia deflettono i blocchi energetici e rimettono il chi sulla buona strada.
Quando ho sentito parlare del feng shui per la prima volta, mi sembrava una superstizione come quella di evitare gatti neri e di non passare sotto le scale.
Gli aneddoti che si narravano sul fatto di come il feng shui aveva cambiato la fortuna di molte persone mi sembravano poco credibili.
Eppure, molti dei suoi principi sono in linea con la psicologia contemporanea.
Le persone allegre sono più sane e produttive di quelle tristi e un ambiente piacevole in casa o in ufficio contribuisce a rendere felici.
"Una casa serena - Victoria Moran - Gruppo Editoriale Futura"
Il labirinto
Riprendo il discorso sul labirinto da una angolazione diversa, quella di Aldo Carotenuto nel suo libro "Vivere la distanza".
"Il labirinto è la rappresentazione, estremamente complessa, di un percorso di iniziazione, al termine del quale ci auguriamo di aver conseguito una meta, nuovamente pronti per accettare una nuova sfida.
E' questo il compito del vivere: un continuo superamento dei confini dell'Io, una perenne iniziazione al vivere stesso.
Potrà essere una iniziazione religiosa, esoterica, o una prova destinata all'eroe, comunque sia è un cammino, un passaggio da un livello di consapevolezza ad un altro, da un piano di esistenza ad un altro, da una condizione psicologica ad un'altra.
Nessun uomo nasce con la consapevolezza di cosa sia necessario per vivere psicologicamente, per sviluppare tutte le proprie potenzialità. Esiste un mondo esterno alla coscienza e un firmamento interiore, entrambi destinati a perturbarla, a mutarla, a farla evolvere.
Esistono situazioni della vita in cui accade che la coscienza sia chiamata ad una particolare sofferenza e lacerazione, perché la visione del mondo sua propria non è più capace di nutrirla, di sostenerla e maturarla.
Sono momenti di profonda introversione, di regressione, di ritiro dall'investimento sulle cose, sul lavoro, sugli eventi esterni.
Ed è spesso in tali momenti che l'individuo in crisi, si sente come in un labirinto, "senza via di scampo, intrappolato in una dimensione di cui non conosce lo sbocco.
Difficilmente, quando si è in una fase di profonda introversione, di ritiro dal mondo, e si ritiene di essere finiti in un vicolo cieco, si ha la percezione di vivere una "prova iniziatica".
Ma, se ne avessimo coscienza, cambierebbe il nostro modo di essere presenti a noi stessi ed alla sofferenza che viviamo.
da "Vivere la distanza" - Aldo Carotenuto - Studi Bompani
mercoledì 25 febbraio 2009
La danza delle gru e il labirinto (2)
Il labirinto appare inizialmente come una prigione inviolabile, destinata a contenere il Minotauro e prevenire la potenziale minaccia nella successione al regno cretese (Minosse è un re senza figli maschi), ma – al contempo – il labirinto è un simbolo, una immagine concreta della schiavitù di Atene, costretta a saziare la fame di quel mostro con esseri umani.
Da luogo di morte, esso però si trasforma in spazio di vita, con i giovani che escono dal labirinto, ormai violato, e intrecciano una danza di gioia.
L’avvenimento che modifica la situazione precedente e concretizza quella reale è l’arrivo a Creta di Teseo, l’eroe ateniese più famoso: per lui il labirinto costituisce il luogo della prova indispensabile, quella che gli consente di ottenere il pieno potere su Atene e di realizzarvi il giusto modello civico.
Ucciso il mostro e tornato in patria, infatti, l’eroe diventa re al posto del padre, libera la città dal giogo cretese, ne stabilisce da allora il dominio sul mare e fonda politicamente la sua realtà urbana, radunando ad Atene gli abitanti dell’Attica, fino a quel momento dispersi per le campagne.
Con la vittoria di Teseo e con l’immagine dei giovani sottratti alle fauci del mostro, il labirinto assume il valore di luogo in cui s’inizia la democrazia ateniese; un luogo da celebrare e ricordare, non già per quello che era concretamente stato nella realtà minoica, ma per quello che esso aveva rappresentato, alle origini mitiche della potenza di Atene.
Da qui anche, l’importanza del rito festoso nel quale i giovani, mano nella mano, ripetevano il cammino verso la morte nei corridoi del labirinto e poi la marcia a ritroso che – per primi – avevano compiuto i compagni di Teseo, verso l’uscita ad una nuova vita, da liberi cittadini.
Chiamare i danzatori con il nome delle gru, come si faceva a Dedo, non era solo un gioco di parole per evocare i saltelli in sequenza dei trampolieri, ma anche un altro modo di celebrare l’ateniese Teseo.
Dai Greci, infatti, quegli uccelli migratori erano immaginati prudenti e previdenti nell’affrontare spazi sconosciuti, come lo era stato Teseo al momento di entrare nel labirinto e, come l’eroe aveva saputo orientarsi con un filo nei meandri oscuri di quel luogo, ugualmente si pensava che le gru, volando in gruppo da una estremità all’altra de mondo, portassero nel becco un sassolino e, lasciandolo cadere, si orientassero anche di notte nel volo, con il suono della pietra caduta in mare o sulla terra.
Da luogo di morte, esso però si trasforma in spazio di vita, con i giovani che escono dal labirinto, ormai violato, e intrecciano una danza di gioia.
L’avvenimento che modifica la situazione precedente e concretizza quella reale è l’arrivo a Creta di Teseo, l’eroe ateniese più famoso: per lui il labirinto costituisce il luogo della prova indispensabile, quella che gli consente di ottenere il pieno potere su Atene e di realizzarvi il giusto modello civico.
Ucciso il mostro e tornato in patria, infatti, l’eroe diventa re al posto del padre, libera la città dal giogo cretese, ne stabilisce da allora il dominio sul mare e fonda politicamente la sua realtà urbana, radunando ad Atene gli abitanti dell’Attica, fino a quel momento dispersi per le campagne.
Con la vittoria di Teseo e con l’immagine dei giovani sottratti alle fauci del mostro, il labirinto assume il valore di luogo in cui s’inizia la democrazia ateniese; un luogo da celebrare e ricordare, non già per quello che era concretamente stato nella realtà minoica, ma per quello che esso aveva rappresentato, alle origini mitiche della potenza di Atene.
Da qui anche, l’importanza del rito festoso nel quale i giovani, mano nella mano, ripetevano il cammino verso la morte nei corridoi del labirinto e poi la marcia a ritroso che – per primi – avevano compiuto i compagni di Teseo, verso l’uscita ad una nuova vita, da liberi cittadini.
Chiamare i danzatori con il nome delle gru, come si faceva a Dedo, non era solo un gioco di parole per evocare i saltelli in sequenza dei trampolieri, ma anche un altro modo di celebrare l’ateniese Teseo.
Dai Greci, infatti, quegli uccelli migratori erano immaginati prudenti e previdenti nell’affrontare spazi sconosciuti, come lo era stato Teseo al momento di entrare nel labirinto e, come l’eroe aveva saputo orientarsi con un filo nei meandri oscuri di quel luogo, ugualmente si pensava che le gru, volando in gruppo da una estremità all’altra de mondo, portassero nel becco un sassolino e, lasciandolo cadere, si orientassero anche di notte nel volo, con il suono della pietra caduta in mare o sulla terra.
martedì 24 febbraio 2009
Interrompo per problemi di rete
Da ieri alcuni blogger (me compresa) hanno problemi nel postare commenti.
Oltre a questo molti di noi hanno ... perso lettori ...
Che si fa?
Nel mio caso : 87 lettori fino ad ieri, 71 oggi.
Ho scritto sul forum dell'assistenza ma per ora nessuna risposta.
Oltre a questo molti di noi hanno ... perso lettori ...
Che si fa?
Nel mio caso : 87 lettori fino ad ieri, 71 oggi.
Ho scritto sul forum dell'assistenza ma per ora nessuna risposta.
La danza delle gru
Sul collo del vaso Francois di Firenze, splendore della pittura vascolare antica, è dipinta la scena di un gruppo di giovani, maschi e femmine, che danzano presso una nave: sono i ragazzi ateniesi scampati al Minotauro che festeggiano la liberazione dalla morte nel labirinto cretese.
Nella pittura si vede anche Teseo, l’eroe vincitore del mostro, che suona la lira mentre i fanciulli danzano un dietro l’altro.
Gli abitanti di Delo, racconta Plutarco, ripetevano ancora quella danza e la chiamavano géranos, la “danza delle gru”, perché l’andirivieni dei giovani che, tenendosi per mano, imitavano il cammino compiuto per entrare e riuscire dal labirinto, somigliava ai saltelli sinuosi e al volo di gruppo di questi uccelli migratori.
Questo labirinto,narra il mito greco, era stato voluto dal re dell’isola, Minosse, che vi aveva rinchiuso il frutto mostruoso dell’insana passione della regina Pasifae, sua sposa, per un toro selvaggio; da quella unione era nato Asterio che aveva il muso di toro e il corpo umano e che venne per questo chiamato Minotauro.
A quel tempo Minosse era signore del mare e aveva imposto agli Ateniesi un tremendo tributo: sette ragazzi e altrettante fanciulle da mandare periodicamente in pasto al solitario abitatore del labirinto.
Al terzo invio, con i giovani, giunse a Creta anche l’eroe Teseo, del quale si innamorò Arianna, figlia di Minosse; la principessa offrì il suo aiuto a Teseo che, in cambio, le promise di condurla sposa ad Atene.
Arianna, consigliata da Dedalo, dette a Teseo un gomitolo di filo, perché questi, attaccandone una estremità alla porta di ingresso e svolgendo la matassa lungo il cammino, potesse poi tornare sui suoi passi riavvolgendo il filo verso l’uscita.
Così fece Teseo che, dopo aver trovato e ucciso il Minotauro, potè uscire dal labirinto, fuggire da Creta e tornare vittorioso ad Atene. Sulla via del ritorno, Teseo e i suoi compagni intrecciarono una danza – che ripeteva nelle cadenze il percorso seguito nel labirinto: quello appunto raffigurata sul vaso Francois e ritualmente ripetuta in varie feste.
segue ...
Nella pittura si vede anche Teseo, l’eroe vincitore del mostro, che suona la lira mentre i fanciulli danzano un dietro l’altro.
Gli abitanti di Delo, racconta Plutarco, ripetevano ancora quella danza e la chiamavano géranos, la “danza delle gru”, perché l’andirivieni dei giovani che, tenendosi per mano, imitavano il cammino compiuto per entrare e riuscire dal labirinto, somigliava ai saltelli sinuosi e al volo di gruppo di questi uccelli migratori.
Questo labirinto,narra il mito greco, era stato voluto dal re dell’isola, Minosse, che vi aveva rinchiuso il frutto mostruoso dell’insana passione della regina Pasifae, sua sposa, per un toro selvaggio; da quella unione era nato Asterio che aveva il muso di toro e il corpo umano e che venne per questo chiamato Minotauro.
A quel tempo Minosse era signore del mare e aveva imposto agli Ateniesi un tremendo tributo: sette ragazzi e altrettante fanciulle da mandare periodicamente in pasto al solitario abitatore del labirinto.
Al terzo invio, con i giovani, giunse a Creta anche l’eroe Teseo, del quale si innamorò Arianna, figlia di Minosse; la principessa offrì il suo aiuto a Teseo che, in cambio, le promise di condurla sposa ad Atene.
Arianna, consigliata da Dedalo, dette a Teseo un gomitolo di filo, perché questi, attaccandone una estremità alla porta di ingresso e svolgendo la matassa lungo il cammino, potesse poi tornare sui suoi passi riavvolgendo il filo verso l’uscita.
Così fece Teseo che, dopo aver trovato e ucciso il Minotauro, potè uscire dal labirinto, fuggire da Creta e tornare vittorioso ad Atene. Sulla via del ritorno, Teseo e i suoi compagni intrecciarono una danza – che ripeteva nelle cadenze il percorso seguito nel labirinto: quello appunto raffigurata sul vaso Francois e ritualmente ripetuta in varie feste.
segue ...
Etichette:
Arianna,
danza delle gru,
labirinto,
Minosse,
Teseo,
vaso Francois
lunedì 23 febbraio 2009
Una madre dolcissima
Nel settembre del 2005 in America, a 93 anni, è morto Leo Sternbach, lo studioso di benzodiazepine che, nel 1963, insieme a Earl Reeder, aveva inventato il Valium.
Nato ad Abbazia, allora in Austria, si era laureato in chimica a Cracovia, dove il padre gestiva una farmacia. In seguito, a causa della guerra e delle leggi razziali, era stato costretto a fuggire dalla Polonia, prima in Svizzera e successivamente in America.
Leo Sternbach costretto a fuggire, insieme a molti altri giovani e molti ebrei, dalla sua casa, un'Europa ormai trasformata in devastato luogo di morte.
Prima di approdare in America, però, l'incontro con i reduci, irrimediabilmente feriti da un orrore straziante, darà al futuro chimico della Roche il motivo centrale del suo lavoro e delle sue ricerche: trovare una risorsa capace di cancellare una tale illimitata sofferenza. Nel corso di tutta la sua lunga vita, il ricercatore sarà sempre strenuo difensore del farmaco da lui scoperto ed incrollabile rimarrà la fede nei motivi di fondo dei suoi studi.
"Troppa gente sembra non tenere presente quanti suicidi sono stati evitati e quanti matrimoni salvati dalla mia pillola" diceva quando veniva attaccato relativamente agli effetti collaterali che il farmaco aveva evidenziato, soprattutto il problema della dipendenza.
Perché, in realtà, negli anni 70, l'uso della "sua medicina", insieme a quello più generale degli psicofarmaci, conobbe un successo imponente: due miliardi e trecento milioni di pastiglie vendute, una valanga. Tanto che, ad un certo punto, il 28% del fatturato della Roche proveniva dalla scoperta di Sternbach che fruttò dieci miliardi di dollari in quarant'anni.
Più generalmente, comunque, al di là delle polemiche, sembra semplicemente di essere di fronte ad un più che naturale desiderio di riparazione nei confronti di un "male" che, forse, sino ad allora, era stato sconosciuto all'esperienza umana:
lo strazio dell'ultimo conflitto mondiale, il timore di dovere fare i conti con una distruttività che sembra connaturale alla condizione umana, infamante ed odiosa quanto ineliminabile.
Una distruttività, però, agita in un luogo chiamato "guerra", legato ad oggetti mentali emotivamente intensi come "difesa della patria", "libertà", "sacrificio della vita per i propri ideali".
Male inevitabile, dunque, per sfuggire a più pesanti vergogne: "il pavido che, per codardia e debolezza, accetta l'ingiustizia del sopruso e della sopraffazione".
Ma, ai tempi della sua nascita, il Valium veniva chiamato "LA PILLOLA DELLE MAMME", pensato specificamente per alleviare le ansie della maternità e le tensioni della vita di coppia. Veniva anche nominato "IL PICCOLO AIUTO QUOTIDIANO" e una donna americana su cinque lo usava.
I due mondi che, sino a questo momento, erano decisamente separati, collassano l'uno sull'altro.
Sorprendente percorso quello che finisce per accomunare il dolore devastante dei reduci di guerra all'ansia di una donna in attesa di un figlio o in presenza di un piccolo bimbo di cui prendersi cura.
Eppure Sternbach dedica il suo prezioso farmaco proprio alle madri; inconsapevolmente, ci fa immaginare che anche nella mente della madre quando entra in contatto con il suo bambino, possano accendersi inaspettate esplosioni di rabbia, incontrollati timori e desideri di fuga, imboscate, diserzioni, legge marziale, processi sommari e fucilazioni. .....
I Rolling Stones hanno chiamato il Valium "my mother's little helper", il piccolo aiutante di mia madre. .....
(Da "Vertici")
domenica 22 febbraio 2009
Latte e miele
"Io semplicemente mi rifiuto di considerare l'obbedienza una virtù, la curiosità un peccato e l'ignoranza del bene e del male uno stato ideale"
Queste parole sono state scritte da Alice Miller ne "Il risveglio di Eva".
Secondo Fromm l'amore materno presenta due aspetti: quello di tutte le cure necessarie perché il bambino viva e cresca e quello di infondergli l'amore per la vita, il senso che la vita e' bella, la gioia di vivere.
I due aspetti corrispondono rispettivamente ai biblici "latte" e "miele". Molte le madri che sono in grado di dare il "latte", poche quelle che oltre al "latte" sanno dare anche il "miele", perché solo una donna felice può dare anche il "miele", cioè contagiare il bambino con la sua felicita'.
L'essere umano può assumere un ruolo di creatore in vari modi, uno dei quali è l'amore per i propri figli.
"Oggi gli adulti si preoccupano molto che i bambini siano competenti ed efficienti, che sappiano usare il computer e conoscano le lingue straniere, e dimenticano invece quanto sia importante la fantasia.
La fantasia ci aiuta a vivere. In un futuro già presente, l'identità personale sarà sempre meno legata alla professione, poche persone potranno dire di sé: sono un ragioniere, un medico. Per molti il lavoro sarà un'attività marginale, provvisoria, mutevole. Diviene perciò necessario trovare altri interessi, altri luoghi di incontro, altri rapporti. In poche parole: inventarsi una vita." scrive Silvia Veggetti Finzi.
Scrive invece Janet Frame :
"...mi trovai ad assumere la parte a cui più ero abituata, quella della persona passiva la cui vita viene pianificata per lei mentre lei, per paura di essere punita o di suscitare reazioni, non osa rifiutare."
(pag. 470 di Un angelo alla mia tavola – Einaudi Tascabili)
Queste parole sono state scritte da Alice Miller ne "Il risveglio di Eva".
Secondo Fromm l'amore materno presenta due aspetti: quello di tutte le cure necessarie perché il bambino viva e cresca e quello di infondergli l'amore per la vita, il senso che la vita e' bella, la gioia di vivere.
I due aspetti corrispondono rispettivamente ai biblici "latte" e "miele". Molte le madri che sono in grado di dare il "latte", poche quelle che oltre al "latte" sanno dare anche il "miele", perché solo una donna felice può dare anche il "miele", cioè contagiare il bambino con la sua felicita'.
L'essere umano può assumere un ruolo di creatore in vari modi, uno dei quali è l'amore per i propri figli.
"Oggi gli adulti si preoccupano molto che i bambini siano competenti ed efficienti, che sappiano usare il computer e conoscano le lingue straniere, e dimenticano invece quanto sia importante la fantasia.
La fantasia ci aiuta a vivere. In un futuro già presente, l'identità personale sarà sempre meno legata alla professione, poche persone potranno dire di sé: sono un ragioniere, un medico. Per molti il lavoro sarà un'attività marginale, provvisoria, mutevole. Diviene perciò necessario trovare altri interessi, altri luoghi di incontro, altri rapporti. In poche parole: inventarsi una vita." scrive Silvia Veggetti Finzi.
Scrive invece Janet Frame :
"...mi trovai ad assumere la parte a cui più ero abituata, quella della persona passiva la cui vita viene pianificata per lei mentre lei, per paura di essere punita o di suscitare reazioni, non osa rifiutare."
(pag. 470 di Un angelo alla mia tavola – Einaudi Tascabili)
Etichette:
Alice Miller,
Fromm,
Janet Frame,
latte e miele,
Silvia Veggetti Finzi
venerdì 20 febbraio 2009
L'ironia e il ridere
I Greci chiamarono ironico (eiron) chi dice meno di ciò che pensa e, ad esso contrappongono il Fanfarone (alazon) che fa credere di sapere di più di quanto non sappia. Anche l’ironia di Socrate, col tempo, muta volto. Il suo gioco diventa educazione (paideia), la sua parodia acquista, con la sua morte, tutta la sua serietà, e il riso diventa la massima antitesi del vero, ciò da cui occorre difendersi. Il saggio non ride. E neppure l’uomo di religione. …Filosofia e religione si chiudono nelle loro rocche fortificate, mentre il riso riecheggia fuori dalle mura. … Gli animali non ridono, anzi il riso è una caratteristica esclusiva dell’uomo, così come la sua ricerca della verità.
Nelle “Briciole di filosofia” Kierkegaard scrive:
“Considero la vis comica come una legittimazione indispensabile per chiunque ai nostri tempi voglia essere considerato un componente autorevole nel mondo dello spirito.
Ma i docenti sono così sprovvisti di vis comica da far spavento. Lo stesso Hegel mancava completamente di senso del comico. Un’aria di posa ridicola che dà al docente una somiglianza sintomatica con un libraio di Holberg, i docenti la chiamavano serietà. Chiunque non assume questa posa da far rabbrividire, è un leggerone.”
Nietzsche invita ad ascoltare il riso di Zarathustra che non nasce da un’attesa delusa, ma dall’esperienza del tragico: “L’animale della terra che soffre di più fu quello che inventò il riso.” ….. Un riso che evita al tragico di fissarsi in disperazione risentita o in atteggiata e un po’ falsa serietà.
(Estrapolato da “Orme del sacro” di Umberto Galimberti – Feltrinelli editore)
Nelle “Briciole di filosofia” Kierkegaard scrive:
“Considero la vis comica come una legittimazione indispensabile per chiunque ai nostri tempi voglia essere considerato un componente autorevole nel mondo dello spirito.
Ma i docenti sono così sprovvisti di vis comica da far spavento. Lo stesso Hegel mancava completamente di senso del comico. Un’aria di posa ridicola che dà al docente una somiglianza sintomatica con un libraio di Holberg, i docenti la chiamavano serietà. Chiunque non assume questa posa da far rabbrividire, è un leggerone.”
Nietzsche invita ad ascoltare il riso di Zarathustra che non nasce da un’attesa delusa, ma dall’esperienza del tragico: “L’animale della terra che soffre di più fu quello che inventò il riso.” ….. Un riso che evita al tragico di fissarsi in disperazione risentita o in atteggiata e un po’ falsa serietà.
(Estrapolato da “Orme del sacro” di Umberto Galimberti – Feltrinelli editore)
giovedì 19 febbraio 2009
Piaceri
Il primo sguardo dalla finestra al mattino,
il vecchio libro ritrovato volti entusiasti neve,
il mutare delle stagioni,
il giornale, il cane,
la dialettica,
fare la doccia,
nuotare,
musica antica,
scarpe comode,
capire musica moderna,
scrivere,
piantare,
viaggiare,
cantare, essere gentili.
(Bertolt Brecht)
martedì 17 febbraio 2009
Lettera di una insegnante
Anche nella mia mente spesso ricorrono pensieri d'infanzia, di quel vissuto personale che ha fatto sì che divenissi la persona che sono, con certi valori e principi di vita piuttosto che altri; ed è da qui che nasce l'esigenza e la voglia di insegnare, giocare, apprendere e confrontarsi con i bambini, uniche creature che più di chiunque altro necessitano di attenzioni e stimoli quanto più vari per far sì che le molteplici intelligenze (le otto intelligenze che tutti noi possediamo di cui parla Gardner) possano sviluppare al massimo il loro potenziale."
I bambini sono multimediali e i loro molteplici recettori sono tutti aperti; sono le cattive abitudini a chiuderne alcuni.
Dobbiamo continuamente sollecitarli e nutrirli mediante sostanziosi saperi diffusi attraverso media disparati e impiegando una pluralità di metodi perché nessuno venga messo da parte da un'educazione che troppo a lungo è stata segno di selezione, ma affinché ognuno possa essere avvantaggiato in base alle proprie potenzialità senza sforzarsi nell'inutile tentativo di tendere verso un determinato prototipo imposto dall'alto.
Dobbiamo imparare, prima di tutto, ad ascoltarli i bambini, a permettere loro di esprimersi e ad arricchirci e nutrirci della loro genuina capacità di stupirsi di fronte a tutto ciò che di meraviglioso il mondo ci offre, senza appiattirsi all'abitudinarietà della vita ordinaria di cui non sentiamo più né odori né sapori.
Ancora oggi la cultura scolastica lascia pochissimo spazio al teatro (sia al fare teatro che all'andare a teatro), campo della creatività in cui si esprimono i processi mentali della connotazione, della metafora e del simbolo sia nella creazione scenica che nella sua fruizione; è una forma espressiva, un linguaggio di cui non possiamo privare i bambini.
Una famosa poesia di Loris Malaguzzi dice: " bambino può parlare cento lingue e noi gliene rubiamo 99".
" le storie e i procedimenti fantastici per produrle, noi aiutiamo i bambini a entrare nella realtà dalla finestra anziché dalla porta. È più divertente: dunque è più ". (G. Rodari, Grammatica della fantasia).
Rodari concepisce il teatro, anche quando si fa veicolo di messaggi virtuosi, come gioco e piacere per " le occasioni di felicità "
E concluderei sempre con Rodari che, a proposito del teatro ritenuto dai più inutile, sostiene: "e invece noi siamo del parere che le cose che non servono a niente sono preziose e vanno salvate ad ogni costo: sono il contravveleno a una civiltà che con il suo utilitarismo ci logora e ci inaridisce" (a tutto vantaggio dei burattinai nascosti che manovrano i centomila fili cui siamo legati così bene che non ce ne accorgiamo neppure).
(Martina Tattini da TELLUS folio)
I bambini sono multimediali e i loro molteplici recettori sono tutti aperti; sono le cattive abitudini a chiuderne alcuni.
Dobbiamo continuamente sollecitarli e nutrirli mediante sostanziosi saperi diffusi attraverso media disparati e impiegando una pluralità di metodi perché nessuno venga messo da parte da un'educazione che troppo a lungo è stata segno di selezione, ma affinché ognuno possa essere avvantaggiato in base alle proprie potenzialità senza sforzarsi nell'inutile tentativo di tendere verso un determinato prototipo imposto dall'alto.
Dobbiamo imparare, prima di tutto, ad ascoltarli i bambini, a permettere loro di esprimersi e ad arricchirci e nutrirci della loro genuina capacità di stupirsi di fronte a tutto ciò che di meraviglioso il mondo ci offre, senza appiattirsi all'abitudinarietà della vita ordinaria di cui non sentiamo più né odori né sapori.
Ancora oggi la cultura scolastica lascia pochissimo spazio al teatro (sia al fare teatro che all'andare a teatro), campo della creatività in cui si esprimono i processi mentali della connotazione, della metafora e del simbolo sia nella creazione scenica che nella sua fruizione; è una forma espressiva, un linguaggio di cui non possiamo privare i bambini.
Una famosa poesia di Loris Malaguzzi dice: " bambino può parlare cento lingue e noi gliene rubiamo 99".
" le storie e i procedimenti fantastici per produrle, noi aiutiamo i bambini a entrare nella realtà dalla finestra anziché dalla porta. È più divertente: dunque è più ". (G. Rodari, Grammatica della fantasia).
Rodari concepisce il teatro, anche quando si fa veicolo di messaggi virtuosi, come gioco e piacere per " le occasioni di felicità "
E concluderei sempre con Rodari che, a proposito del teatro ritenuto dai più inutile, sostiene: "e invece noi siamo del parere che le cose che non servono a niente sono preziose e vanno salvate ad ogni costo: sono il contravveleno a una civiltà che con il suo utilitarismo ci logora e ci inaridisce" (a tutto vantaggio dei burattinai nascosti che manovrano i centomila fili cui siamo legati così bene che non ce ne accorgiamo neppure).
(Martina Tattini da TELLUS folio)
lunedì 16 febbraio 2009
Sussurri obliqui: Attenzione: questo post potrebbe disturbare la sensibilità di alcuni lettori
Giardino
Per chi abita in città, giardini e piante sono essenziali per mantenere in qualche modo il contatto con la Natura.
In quanto riflesso in miniatura di quest’ultima, essi simboleggiano la crescita.
Il giardino è un punto in cui la Natura è controllata, sottomessa, è Natura rinchiusa.
E’ anche un simbolo delle energie femminili, della capacità di creare e di nutrire la vita.
Il genere di giardino che coltiviamo (vegetale, erboristico, ecc…) e il tipo di vita animale che lo visita, può essere rivelatore, dal momento che spesso riflette il modo in cui consciamente riusciamo ad usare le nostre innate energie e capacità creative.
Oltre a tutto può anche rappresentare un mezzo per favorire il contatto con gli animali e questo rafforzerà il collegamento con la Natura e con gli animali.
Curare il giardino è un mezzo per dire simbolicamente che siamo aperti alla Natura e a ciò che ha da offrirci, un riflesso esteriore della nostra volontà di entrare in comunicazione con essa.
Spesso mi capita di sentire persone che si lamentano perché non riescono a far crescere niente, “Ogni volta che pianto qualcosa , muore”.
La morte fa parte della Natura e non dovrebbe scoraggiare: potrebbe voler dire che ci stiamo troppo accanendo nel tentativo o che cerchiamo di far maturare qualcosa per cui non siamo ancora pronti.
Lo sviluppo di qualsiasi cosa apporti benefici ha bisogno di tempo.
Cercare di sviluppare una comunione immediata con la Natura o presumere di poter cogliere rapidamente e facilmente i segni o il linguaggio degli animali serve solo a creare delusione.
I semi hanno bisogno di tempo per germinare e mettere radici, ma dovremmo pensare che mentre cerchiamo di allinearci con questo aspetto della Natura, apriamo le porte all’armonizzazione con tutto ciò che esiste.
domenica 15 febbraio 2009
Il disincanto del mondo
Jean-Françoise Lyotard, filosofo francese nato nel 1924 e morto nel 1998, descrive il mondo post-moderno come il luogo in cui sono finite le grandi narrazioni, come il marxismo, il cristianesimo che esprimono riferimenti identitari forti.
Ulrich Beck, sociologo tedesco nato nel 1944, definisce questo mondo come la società del rischio e dell’incertezza, mentre Alain Touraine, sociologo francese, nato nel 1925, introduce il concetto di turbolenza, secondo cui si vive in un’epoca nella quale l’unica costante è il mutamento, talmente evidente che non possiamo più immaginare di vivere un una società senza cambiamento.
Fino a qualche tempo fa i grandi rinnovamenti erano ancora riconoscibili.
Si prenda ad esempio l’epoca dell’acquisto dei primi elettrodomestici, la fase delle automobili, poi quella dei televisori, etc.
Oggi tutto è talmente veloce che si perde la concezione del tempo. Non assistiamo più a mutamenti radicali come l’acquisto del primo cellulare, oppure del computer, ma viviamo una fase assolutamente dilatata che ingloba la turbolenza.
Ne deriva che anche i fatti sociali sono oggi meno intelligibili, proprio perché non si è più in grado di ricondurre ad un unico modello i fatti e quindi interpretarli.
Max Weber, sociologo tedesco nato nel 1864 e morto nel 1920, definisce l’età moderna come l’età della razionalizzazione, direttamente proporzionale alla specializzazione della tecnica, e dunque della sperimentazione.
Se tutto è riducibile a scienza, la sperimentazione sconfessa la sacralità delle scelte più importanti, quelle appunto secondo le quali il futuro è sempre una costruzione elettiva delle proprie responsabilità.
Siamo di fronte al disincanto del mondo, ossia di fronte alla separazione tra mistero e razionalità. Questo nostro mondo spiega i fatti con strumenti razionali e quindi da un lato abbiamo il disincanto, la religione personale, e dall’altro la razionalizzazione.
In questa situazione, dove il sacro è in crisi, quale etica il singolo individuo può adottare?
Secondo Weber, l’unica etica che possiamo assumere come guida è quella della responsabilità: l’individuo deve agire sulla base delle conseguenze delle proprie azioni. Avere un’etica significa dunque scegliere secondo l’analisi delle conseguenze delle proprie scelte.
Secondo Ludwig Wittgenstein, filosofo austriaco nato nel 1889 e morto nel 1951, invece, oggi l’unica etica che possiamo percorrere è quella del labirinto, secondo cui si individuano tre immagini: a), la mosca nella bottiglia; b), il pesce nella rete; c), l’uomo nel labirinto.
La mosca intrappolata nella bottiglia non può che agitarsi e non può che sperare di trovare un foro di uscita, supponendo che la bottiglia sia aperta. Il comportamento della mosca è senza un disegno certo, perché si affida alla fortuna e al caso.
Questa è la situazione di chi non ha una risposta e si lascia trasportare dal destino.
Il pesce nella rete più si agita, più rimane impigliato e non può neanche contare, come la mosca, sulla fortuna, perché deve calmarsi per limitare il dolore. E’ l’immagine di una società che al destino reagisce con rassegnazione, non producendo un comportamento attivo.
L’uomo nel labirinto ha fondate speranze di trovare una via d’uscita, non pensa al destino già segnato, ma procede passo a passo, verificando razionalmente se la strada imboccata è quella giusta.
Inoltre egli è disponibile a cambiare via, quando si dovesse accorgere di aver sbagliato.
E’ l’immagine della società che procede per tentativi, controllando razionalmente se questi siano giusti ed in sintonia con l’idea del labirinto, nel quale esistono diverse strade da prendere, con una via d’uscita che comporta una continua analisi dell’esattezza delle proprie decisioni.
La sensazione che se ne ricava è quella di vivere una modernità nella quale si perdono i confini conosciuti delle proprie identità e delle proprie azioni, perché siamo effettivamente passati da una condizione rigida ad una società in cui i riferimenti si dissolvono rapidamente.
Se nella società tradizionale ciò che eravamo era dato a priori, oggi ciò che dobbiamo essere è diventato un compito incerto, poiché ogni individuo si assume il rischio di una scelta sbagliata.
Ulrich Beck, sociologo tedesco nato nel 1944, definisce questo mondo come la società del rischio e dell’incertezza, mentre Alain Touraine, sociologo francese, nato nel 1925, introduce il concetto di turbolenza, secondo cui si vive in un’epoca nella quale l’unica costante è il mutamento, talmente evidente che non possiamo più immaginare di vivere un una società senza cambiamento.
Fino a qualche tempo fa i grandi rinnovamenti erano ancora riconoscibili.
Si prenda ad esempio l’epoca dell’acquisto dei primi elettrodomestici, la fase delle automobili, poi quella dei televisori, etc.
Oggi tutto è talmente veloce che si perde la concezione del tempo. Non assistiamo più a mutamenti radicali come l’acquisto del primo cellulare, oppure del computer, ma viviamo una fase assolutamente dilatata che ingloba la turbolenza.
Ne deriva che anche i fatti sociali sono oggi meno intelligibili, proprio perché non si è più in grado di ricondurre ad un unico modello i fatti e quindi interpretarli.
Max Weber, sociologo tedesco nato nel 1864 e morto nel 1920, definisce l’età moderna come l’età della razionalizzazione, direttamente proporzionale alla specializzazione della tecnica, e dunque della sperimentazione.
Se tutto è riducibile a scienza, la sperimentazione sconfessa la sacralità delle scelte più importanti, quelle appunto secondo le quali il futuro è sempre una costruzione elettiva delle proprie responsabilità.
Siamo di fronte al disincanto del mondo, ossia di fronte alla separazione tra mistero e razionalità. Questo nostro mondo spiega i fatti con strumenti razionali e quindi da un lato abbiamo il disincanto, la religione personale, e dall’altro la razionalizzazione.
In questa situazione, dove il sacro è in crisi, quale etica il singolo individuo può adottare?
Secondo Weber, l’unica etica che possiamo assumere come guida è quella della responsabilità: l’individuo deve agire sulla base delle conseguenze delle proprie azioni. Avere un’etica significa dunque scegliere secondo l’analisi delle conseguenze delle proprie scelte.
Secondo Ludwig Wittgenstein, filosofo austriaco nato nel 1889 e morto nel 1951, invece, oggi l’unica etica che possiamo percorrere è quella del labirinto, secondo cui si individuano tre immagini: a), la mosca nella bottiglia; b), il pesce nella rete; c), l’uomo nel labirinto.
La mosca intrappolata nella bottiglia non può che agitarsi e non può che sperare di trovare un foro di uscita, supponendo che la bottiglia sia aperta. Il comportamento della mosca è senza un disegno certo, perché si affida alla fortuna e al caso.
Questa è la situazione di chi non ha una risposta e si lascia trasportare dal destino.
Il pesce nella rete più si agita, più rimane impigliato e non può neanche contare, come la mosca, sulla fortuna, perché deve calmarsi per limitare il dolore. E’ l’immagine di una società che al destino reagisce con rassegnazione, non producendo un comportamento attivo.
L’uomo nel labirinto ha fondate speranze di trovare una via d’uscita, non pensa al destino già segnato, ma procede passo a passo, verificando razionalmente se la strada imboccata è quella giusta.
Inoltre egli è disponibile a cambiare via, quando si dovesse accorgere di aver sbagliato.
E’ l’immagine della società che procede per tentativi, controllando razionalmente se questi siano giusti ed in sintonia con l’idea del labirinto, nel quale esistono diverse strade da prendere, con una via d’uscita che comporta una continua analisi dell’esattezza delle proprie decisioni.
La sensazione che se ne ricava è quella di vivere una modernità nella quale si perdono i confini conosciuti delle proprie identità e delle proprie azioni, perché siamo effettivamente passati da una condizione rigida ad una società in cui i riferimenti si dissolvono rapidamente.
Se nella società tradizionale ciò che eravamo era dato a priori, oggi ciò che dobbiamo essere è diventato un compito incerto, poiché ogni individuo si assume il rischio di una scelta sbagliata.
sabato 14 febbraio 2009
Ricordo di Frida Kahlo
Avevo sorriso. Nient'altro. Ma improvvisamente,
nel profondo del mio silenzio, ho saputo.
Lui mi stava seguendo. Come un'ombra, innocente e
leggera.
Nella notte singhiozzava un canto ...
Gli indios si addentravano, sinuosi, nei vicoli della città. Un'arpa e una jarana erano la musica, e sorridenti ragazze dalla pelle scura erano la felicità.
Sullo sfondo, dietro lo Zocalo, splendeva il fiume. E
fluiva, come
la mia vita.
Lui mi seguiva.
Smisi di piangere, rintanata nell'ingresso della chiesa
parrocchiale,
protetta dal mio scialle inzuppato di lacrime.
Frida Kahlo
L'immagine rappresenta il dipinto "L'amoroso abbraccio dell'universo, la terra (Messico) io, Diego e il signor Xolotl, 1949
venerdì 13 febbraio 2009
I fiori del domani
I fiori del domani
Tutti i fiori di tutti i domani
sono i semi di oggi e di ieri.
Proverbio cinese
mercoledì 11 febbraio 2009
Moda all'ultimo GRIDO
Solo nella giornata di oggi:
ROMA (11 febbraio) - «Dove vivo io non dovete stare voi immigrati di me...», e gli ha spruzzato in faccia la bomboletta di vernice e con l’accendino ha provato a dargli fuoco. Da il Messaggero
Roma, gli danno fuoco e fuggono
Gravissimo un napoletano di 42 anni: ha ustioni sul 90% del corpo
Da La Stampa
A cosa, a chi si deve questa nuova moda di bruciare esseri umani vivi?
E come vengono accolte queste notizie dai nostri "superiori"?
Il Vaticano ha pregato per evitare questi orrori?
Il governo ha messo le ronde e l'esercito a sufficienza?
Dov'è quella che hanno garantito, la SICUREZZA?
O è forse questa? Questa è la sicurezza che ci hanno promessa?
Oltre al dolore, alla rabbia, sento un gran desiderio di chiudere tutto, di tapparmi in casa e non sapere più niente di questi orrori.
L'immagine sopra rappresenta momento do una festa popolare, dove si dava fuoco alla Vecia (la befana)
martedì 10 febbraio 2009
Stanno facendo una legge per poter chiudere i siti Internet
Eccoci di nuovo:
Con il pacchetto sulla sicurezza approvato dal Senato, Berlusconi dà al ministro degli Interni il potere di chiudere siti Internet, filtrarli e multarli pesantemente. Berlusconi si era proposto di voler dare a Internet una costituzione mondiale; certo se il modello è quello che sta introducendo in Italia c'è da far venire i brividi.
Il pacchetto sulla sicurezza appena approvato dal Senato (dovrà ancora tornare alla Camera) infatti prevede che il ministero dell'Interno potrà ordinare l'oscuramento dei siti Internet sui quali si commette il reato di apologia o si istiga a delinquere. Lo stesso ministero potrà chiedere che vi vengano apposti filtri adeguati. I siti "disobbedienti" dovranno pagare una sanzione dai 50mila a 250mila euro.
Nel testo del ddl si legge infatti: "In caso di accertata apologia o incitamento, il ministro dell'Interno dispone con proprio decreto l'interruzione dell'attività indicata, ordinando ai fornitori di servizi di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine, applicando sanzioni pecuniarie per gli inadempienti". In pratica il governo si arroga un potere che solo nei Paesi totalitari appartiene alla polizia mentre nei Paesi democratici può essere esercitato solo dall'autorità giudiziaria e mai dal governo per via amministrativa.
La misura è stata inserita all'ultimo momento grazie a un emendamento del senatore Gianpiero D'Alia (UDC), che prende ispirazione dalle recentissime polemiche sui gruppi di Facebook a favore degli stupri o della mafia.
Il senatore D'Alia ha commentato: "In questo modo diamo concretezza alle nostre iniziative per ripulire la rete, e in particolare il social network Facebook, dagli emuli di Riina, Provenzano, delle Br, degli stupratori di Guidonia e di tutti gli altri cattivi esempi cui finora si è dato irresponsabilmente spazio."
Imbavagliare Internet, ecco qual è il vero scopo. Forse non siamo ancora al nazismo contro il quale Di Pietro grida, ma certamente il fascismo in Italia iniziò in un modo molto simile.
Fonte www.zeusnews.com
Con il pacchetto sulla sicurezza approvato dal Senato, Berlusconi dà al ministro degli Interni il potere di chiudere siti Internet, filtrarli e multarli pesantemente. Berlusconi si era proposto di voler dare a Internet una costituzione mondiale; certo se il modello è quello che sta introducendo in Italia c'è da far venire i brividi.
Il pacchetto sulla sicurezza appena approvato dal Senato (dovrà ancora tornare alla Camera) infatti prevede che il ministero dell'Interno potrà ordinare l'oscuramento dei siti Internet sui quali si commette il reato di apologia o si istiga a delinquere. Lo stesso ministero potrà chiedere che vi vengano apposti filtri adeguati. I siti "disobbedienti" dovranno pagare una sanzione dai 50mila a 250mila euro.
Nel testo del ddl si legge infatti: "In caso di accertata apologia o incitamento, il ministro dell'Interno dispone con proprio decreto l'interruzione dell'attività indicata, ordinando ai fornitori di servizi di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine, applicando sanzioni pecuniarie per gli inadempienti". In pratica il governo si arroga un potere che solo nei Paesi totalitari appartiene alla polizia mentre nei Paesi democratici può essere esercitato solo dall'autorità giudiziaria e mai dal governo per via amministrativa.
La misura è stata inserita all'ultimo momento grazie a un emendamento del senatore Gianpiero D'Alia (UDC), che prende ispirazione dalle recentissime polemiche sui gruppi di Facebook a favore degli stupri o della mafia.
Il senatore D'Alia ha commentato: "In questo modo diamo concretezza alle nostre iniziative per ripulire la rete, e in particolare il social network Facebook, dagli emuli di Riina, Provenzano, delle Br, degli stupratori di Guidonia e di tutti gli altri cattivi esempi cui finora si è dato irresponsabilmente spazio."
Imbavagliare Internet, ecco qual è il vero scopo. Forse non siamo ancora al nazismo contro il quale Di Pietro grida, ma certamente il fascismo in Italia iniziò in un modo molto simile.
Fonte www.zeusnews.com
domenica 8 febbraio 2009
L'Ombra del Vento
Le frasi che seguono sono estrapolate da un libro "L'Ombra del vento" di Carlos Ruiz Zafón (Barcellona, 25 settembre 1964) scrittore di libri per ragazzi (Il principe della nebbia), che ha esordito nella narrativa per adulti con il suo quinto romanzo, L'ombra del vento (Mondadori, 2001), uscito in sordina in Spagna, libro che ha conquistato con il passaparola il vertice delle classifiche letterarie europee, diventando un vero e proprio fenomeno letterario.
"La televisione, mio caro Daniel, è l'anticristo. Mi creda, nel giro di tre o quattro generazioni la gente non sarà nemmeno in grado di scoreggiare da sola e l'essere umano regredirà all'età della pietra, alla barbarie medievale a uno stadio che la lumaca aveva già superato all'epoca del pleistocene.
Il mondo non verrà distrutto da una bomba atomica, come dicono i giornali, ma da una risata, da un eccesso di banalità che trasformerà la realtà in una barzelletta di pessimo gusto”
“Le parole che hanno avvelenato il cuore di un figlio, pronunciate per meschinità o per ignoranza, si sedimentano nella memoria e lasciano un marchio indelebile.”
“Non cattiva. Idiota. È ben diverso. La malvagità presuppone un certo spessore morale, forza di volontà e intelligenza. L'idiota invece non si sofferma a ragionare, obbedisce all'istinto, come un animale nella stalla, convinto di agire in nome del bene e di avere sempre ragione. Si sente orgoglioso in quanto può rompere le palle, con licenza parlando, a tutti coloro che considera diversi, per il colore della pelle, perché hanno altre opinioni, perchè parlano un'altra lingua, perché non sono nati nel suo paese... nel mondo c'è bisogno di più gente cattiva e di meno rimbambiti.”
“Ogni libro, ogni volume che vedi possiede un'anima, l'anima di chi l'ha scritto e di coloro che l'hanno letto, di chi ha vissuto e di chi ha sognato grazie ad esso. Ogni volta che un libro cambia proprietario, ogni volta che un nuovo sguardo ne sfiora le pagine, il suo spirito acquista forza.”
"La televisione, mio caro Daniel, è l'anticristo. Mi creda, nel giro di tre o quattro generazioni la gente non sarà nemmeno in grado di scoreggiare da sola e l'essere umano regredirà all'età della pietra, alla barbarie medievale a uno stadio che la lumaca aveva già superato all'epoca del pleistocene.
Il mondo non verrà distrutto da una bomba atomica, come dicono i giornali, ma da una risata, da un eccesso di banalità che trasformerà la realtà in una barzelletta di pessimo gusto”
“Le parole che hanno avvelenato il cuore di un figlio, pronunciate per meschinità o per ignoranza, si sedimentano nella memoria e lasciano un marchio indelebile.”
“Non cattiva. Idiota. È ben diverso. La malvagità presuppone un certo spessore morale, forza di volontà e intelligenza. L'idiota invece non si sofferma a ragionare, obbedisce all'istinto, come un animale nella stalla, convinto di agire in nome del bene e di avere sempre ragione. Si sente orgoglioso in quanto può rompere le palle, con licenza parlando, a tutti coloro che considera diversi, per il colore della pelle, perché hanno altre opinioni, perchè parlano un'altra lingua, perché non sono nati nel suo paese... nel mondo c'è bisogno di più gente cattiva e di meno rimbambiti.”
“Ogni libro, ogni volume che vedi possiede un'anima, l'anima di chi l'ha scritto e di coloro che l'hanno letto, di chi ha vissuto e di chi ha sognato grazie ad esso. Ogni volta che un libro cambia proprietario, ogni volta che un nuovo sguardo ne sfiora le pagine, il suo spirito acquista forza.”
sabato 7 febbraio 2009
Fammi sapere ...
Tu vieni dalla mia patria
ti prego, fammi sapere eventi della mia terra;
se, per esempio, nel giorno del tuo arrivo,
alle finestre era già in fiore il susino invernale.
Wang Wei
venerdì 6 febbraio 2009
La meglio gioventù
Dialogo tra il professore e lo studente universitario (La meglio gioventù)
- Comunque voglio darle un consiglio: lei ha qualche ambizione?
- Mah…
- E allora vada via, se ne vada dall’Italia. Lasci l’Italia finché è in tempo. Cosa vuole fare? Il chirurgo?
- Non lo so… non ho ancora deciso…
- Qualsiasi cosa decida… vada a studiare a Londra, a Parigi… vada in America, se ha la possibilità, ma lasci questo paese. L’Italia è un paese da distruggere. Un posto bello e inutile… destinato a morire.
- Cioè, secondo lei tra poco ci sarà un’apocalisse?
- Magari ci fosse… almeno saremmo tutti costretti a ricostruire. Invece qui rimane tutto immobile, uguale… in mano ai dinosauri… mi dia retta: vada via.
- E lei allora professore, perché rimane?
- Ma come perché? Mio caro, io sono uno dei dinosauri da distruggere…
(La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana)
- Comunque voglio darle un consiglio: lei ha qualche ambizione?
- Mah…
- E allora vada via, se ne vada dall’Italia. Lasci l’Italia finché è in tempo. Cosa vuole fare? Il chirurgo?
- Non lo so… non ho ancora deciso…
- Qualsiasi cosa decida… vada a studiare a Londra, a Parigi… vada in America, se ha la possibilità, ma lasci questo paese. L’Italia è un paese da distruggere. Un posto bello e inutile… destinato a morire.
- Cioè, secondo lei tra poco ci sarà un’apocalisse?
- Magari ci fosse… almeno saremmo tutti costretti a ricostruire. Invece qui rimane tutto immobile, uguale… in mano ai dinosauri… mi dia retta: vada via.
- E lei allora professore, perché rimane?
- Ma come perché? Mio caro, io sono uno dei dinosauri da distruggere…
(La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana)
Quattrochiacchiere: Ero forestiero...
Quattrochiacchiere: Ero forestiero...: "arricchimento per tutti.
Pubblicato da evergreen a 10.55.00 Etichette: come vedo il mondo
Reazioni:
2 Coraggiosi:"
Pubblicato da evergreen a 10.55.00 Etichette: come vedo il mondo
Reazioni:
2 Coraggiosi:"
giovedì 5 febbraio 2009
Danza e Amore
Un tempo nemmeno troppo remoto - amare significava danzare
Lo sguardo dell'uomo incrociava gli occhi della donna e il corpo si metteva in moto come una salsa, una merengue, una taranta. Il volto, per dirla con Lévinas, entrava in una sorta di dipendenza dall'amore, veniva ingabbiato, diventava ostaggio dell'altro/a.
Le figure classiche dell'amore maschile, quelle romantiche cantate da Neruda o quelle impavide rappresentate da dongiovanni, fissavano il vocabolario amoroso nell'orizzonte di una poesia metafisica "totalizzante":
Tu sai che
indovinano il mistero:
ci vedono e nulla è stato detto
né i tuoi occhi, né la tua voce, né i tuoi capelli,
né il tuo amore hanno parlato,
e lo sanno d'improvviso
senza saperlo lo sanno:
mi accomiato e cammino
verso un'altra parte e sanno che mi attendi
(Pablo Neruda, Ode al segreto amore)
Una delle figure che hanno incantato la letteratura latino-americana è il leggendario Vadinho, primo marito di dona Flor nel famoso romanzo dello scrittore brasiliano Jorge Amado.
Il libro inizia con la morte di Vadinho durante una danza scatenata dallo sguardo di una mulatta seduta in prima fila.
Vadinho è un romantico, incapace di porre un freno all'estasi dell'amore che si espande di bocca in bocca, di cuore in cuore, di occhio in occhio.
Vadinho ama follemente dona Flor, ma quando appare la mulatta a Bahia, nel bel mezzo del carnevale, tutto il suo corpo si mette a ballare:
"Vadinho - racconta Amado - il più scatenato di tutti, vedendo il gruppo che spuntava all'angolo, e udendo il pizzicato dello scheletrico Mascarenhas al chitarrino sublime, s'avanzò rapidamente e piazzandosi di fronte alla donna dalla pelle più scura - una ragazzona monumentale come una chiesa (e doveva trattarsi della chiesa di San Francesco, visto che era coperta da una cascata di palilettes d'oro) annunziò: "Eccomi, mia bella russa del Tororò" (...)
Vadinho si gettò nella danza con l'entusiasmo esemplare che metteva in qualsiasi cosa facesse, tranne lavorare. Volteggiava in mezzo al gruppo, intrecciava passi complicati davanti alla mulatta, avanzava verso di lei con figure e contorsioni; quando d'improvviso gli sfuggì una specie di rantolo sordo, vacillò sulle gambe, pencolò da un lato e si abbattè per terra.: "Mio Dio è morto!"
L'estasi dell'amore L'amatore folle, il danzatore dagli sguardi appassionati, il dongiovanni di Bahia diserterà per sempre il carnevale, ma il suo spirito ritornerà nelle insonni notti di dona Flor quando il dottor Teodoro, uomo tutto d'un pezzo, riuscirà a conquistarla e a sposarla.
Lo spettro di quel mascalzone di Vadinho, riappare nel sogno di un amore creativo, sfrenato, spregiudicato che il noiosissimo Teodoro non riuscirà a soddisfare.
E alla fine dona Flor se ne va radiosa fra le strade della città aggrappata al braccio del signor Teodoro ma ricoperta dai baci dello spirito di Vadinho:
"E qui finisce la storia di dona Flor e dei suoi due mariti. é accaduto a Bahia dove tali cose magiche avvengono senza creare meraviglia".
Jorge Amado canta la passione brasiliana del Novecento.
Ma nell'Occidente del terzo millennio appesantito dalla morale formale, il volto dell'amore si è raffreddato. I processi selettivi della globalizzazione si sono inseriti perfino nelle palpitazioni del cuore, negli intrighi dei sentimenti, nelle segrete effusioni degli innamorati.
Vadinho è tornato nella sua tomba, scalzato dal mito dell'homo sexualis, per nulla erotico, per nulla sottoposto alle lunghe durate del corteggiamento, con il suo linguaggio, con il suo estro creativo, con la follia che non può stare negli argini prestabiliti.
Perché l'amore è il "puer" che abbatte tutti i muri, che rompe le logiche dell'ordine, che mette a soqquadro ogni cosa perché il suo scopo non è l'armonizzazione del mondo, ma "l'amorizzazione" Il bimbo con l'arco e le frecce che lancia i suoi dardi senza sapere dove andranno a colpire. é stupore e volo nei cieli della passione (che cosa voleva dirci, in fin dei conti, Chagall con i suoi innamorati volanti sui tetti delle città?).
Lo sguardo dell'uomo incrociava gli occhi della donna e il corpo si metteva in moto come una salsa, una merengue, una taranta. Il volto, per dirla con Lévinas, entrava in una sorta di dipendenza dall'amore, veniva ingabbiato, diventava ostaggio dell'altro/a.
Le figure classiche dell'amore maschile, quelle romantiche cantate da Neruda o quelle impavide rappresentate da dongiovanni, fissavano il vocabolario amoroso nell'orizzonte di una poesia metafisica "totalizzante":
Tu sai che
indovinano il mistero:
ci vedono e nulla è stato detto
né i tuoi occhi, né la tua voce, né i tuoi capelli,
né il tuo amore hanno parlato,
e lo sanno d'improvviso
senza saperlo lo sanno:
mi accomiato e cammino
verso un'altra parte e sanno che mi attendi
(Pablo Neruda, Ode al segreto amore)
Una delle figure che hanno incantato la letteratura latino-americana è il leggendario Vadinho, primo marito di dona Flor nel famoso romanzo dello scrittore brasiliano Jorge Amado.
Il libro inizia con la morte di Vadinho durante una danza scatenata dallo sguardo di una mulatta seduta in prima fila.
Vadinho è un romantico, incapace di porre un freno all'estasi dell'amore che si espande di bocca in bocca, di cuore in cuore, di occhio in occhio.
Vadinho ama follemente dona Flor, ma quando appare la mulatta a Bahia, nel bel mezzo del carnevale, tutto il suo corpo si mette a ballare:
"Vadinho - racconta Amado - il più scatenato di tutti, vedendo il gruppo che spuntava all'angolo, e udendo il pizzicato dello scheletrico Mascarenhas al chitarrino sublime, s'avanzò rapidamente e piazzandosi di fronte alla donna dalla pelle più scura - una ragazzona monumentale come una chiesa (e doveva trattarsi della chiesa di San Francesco, visto che era coperta da una cascata di palilettes d'oro) annunziò: "Eccomi, mia bella russa del Tororò" (...)
Vadinho si gettò nella danza con l'entusiasmo esemplare che metteva in qualsiasi cosa facesse, tranne lavorare. Volteggiava in mezzo al gruppo, intrecciava passi complicati davanti alla mulatta, avanzava verso di lei con figure e contorsioni; quando d'improvviso gli sfuggì una specie di rantolo sordo, vacillò sulle gambe, pencolò da un lato e si abbattè per terra.: "Mio Dio è morto!"
L'estasi dell'amore L'amatore folle, il danzatore dagli sguardi appassionati, il dongiovanni di Bahia diserterà per sempre il carnevale, ma il suo spirito ritornerà nelle insonni notti di dona Flor quando il dottor Teodoro, uomo tutto d'un pezzo, riuscirà a conquistarla e a sposarla.
Lo spettro di quel mascalzone di Vadinho, riappare nel sogno di un amore creativo, sfrenato, spregiudicato che il noiosissimo Teodoro non riuscirà a soddisfare.
E alla fine dona Flor se ne va radiosa fra le strade della città aggrappata al braccio del signor Teodoro ma ricoperta dai baci dello spirito di Vadinho:
"E qui finisce la storia di dona Flor e dei suoi due mariti. é accaduto a Bahia dove tali cose magiche avvengono senza creare meraviglia".
Jorge Amado canta la passione brasiliana del Novecento.
Ma nell'Occidente del terzo millennio appesantito dalla morale formale, il volto dell'amore si è raffreddato. I processi selettivi della globalizzazione si sono inseriti perfino nelle palpitazioni del cuore, negli intrighi dei sentimenti, nelle segrete effusioni degli innamorati.
Vadinho è tornato nella sua tomba, scalzato dal mito dell'homo sexualis, per nulla erotico, per nulla sottoposto alle lunghe durate del corteggiamento, con il suo linguaggio, con il suo estro creativo, con la follia che non può stare negli argini prestabiliti.
Perché l'amore è il "puer" che abbatte tutti i muri, che rompe le logiche dell'ordine, che mette a soqquadro ogni cosa perché il suo scopo non è l'armonizzazione del mondo, ma "l'amorizzazione" Il bimbo con l'arco e le frecce che lancia i suoi dardi senza sapere dove andranno a colpire. é stupore e volo nei cieli della passione (che cosa voleva dirci, in fin dei conti, Chagall con i suoi innamorati volanti sui tetti delle città?).
Etichette:
amore,
danza,
Dona Flor e i suoi due mariti,
Jorge Amado,
Lèvinas,
Pablo Neruda
mercoledì 4 febbraio 2009
Lo stupore infantile
Scrive Zolla:
"... Sempre - passeggiando lungo una costa mi hanno colpito uomini o donne soli seduti sulle rocce, l'occhio fisso al frantumio delle ondate, al respiro delle mareggiate, allo svariare di tinte dorate, azzurrine, verdastre, brunicce, marroncine, nere. Immobili stavano, come studiando, contemplando, come tentando di decifrare un accavallio di geroglifici.
Come nessun altro paesaggio, il mare tranquilla, assorbe, ricolma.
Distesamente fu esplorato per due o tre secoli dai pittori di marine olandesi e inglesi l'inesauribile Mare del Nord.
Forse al colmo della trafila va posto Caspar David Friedrich, le cui marine sembrano svelarci il mistero del mare quale appare agli occhi dei suoi uomini visti di spalle o ai suoi romiti ricurvi.
Credo che a contemplarlo lungamente si agevoli la strada verso il passato; il mare si trasforma nello specchio della psiche.
Faccio fatica a calarmi indietro ai tre anni, ma credo di veder emergere un intérierur: nel salotto dalle alte tende si sparge un velo di luce, il tappeto attenua i suoni.
Esala dal pavimento l'odore di legno incerato.
Sul tavolo centrale il vaso stringe un mazzo di rose dai petali tesi. Rispondono le roselline dipinte sulle tazze di porcellana e una rosa ricamata sul pannello che scherma il camino.
Al nero pianoforte mia madre suona la Marcia dei seguaci di Davide contro i Filistei dopo lo Chopin.
I capelli raccolti nella crocchia le scoprono l'orecchio e la nuca. Tre liste di trina le scendono lungo il petto fino al lembo della gonna, sporge la punta aguzza della scarpa sospesa sul pedale.
Io ascolto dalla seggiola del corridoio, voglio star fuori dal salotto, nell'oscurità.
Ho pianto quietamente quando mia madre ha suonato lo Chopin, dondolando le gambe, la mani poggiate sui braccioli imbottiti. ...
La luce del salotto, un lieve biancore, si diffonde come grana tenera e tiepida.
Lo Chopin sembra parlare della tenebra che pervade il corridoio. Una tenebra che la luce, pur penetrando fin lì, non dissipa.
E' straziante lo Chopin e la sua tonalità si coglie in quelle ombre. In qualche modo capisco che devo prestarmi a patire gli esitando, le note puntate del tempo rubato, non devo oppormi alle lacrime, soltanto così potrò gettarmi nello scintillante tripudio di accordi che scandisce la marcia dei seguaci di Davide, simile a quella dei puttini danzanti sotto l'orologio dorato sul camino.
Sul tavolo del salotto, sotto le rose, accanto alle ciambelle, la teiera mostra un argento spendo, appannato dal tempo.
Mentre mia madre sta suonando, il tè intride l'acqua e le toglie la crudezza.
Tutto si sacrifica, le foglie del tè, la luce, le superfici brillanti, i suoni che debbono reggersi come uccelli sospesi, isolati fuor del tempo: il la-mi-fa-fa sbrigativo, il do-re che fa sostare.
....... Poiché tutto attorno a me si ritrae, imparo a compormi.
Sento un misto di gioia e di rinuncia che fa tutt'uno con il timbro del pianoforte, con le penombre della casa.
Dà voce alla casa il pianoforte, se ad esso ci si siede pronti e senza tensione. .....................
Tratto da "Lo stupore infantile" di Elémire Zolla - Biblioteca Adelphi 281-
Pag. 28 e seguenti de Lo Stupore Infantile - di Elèmire Zolla.
"... Sempre - passeggiando lungo una costa mi hanno colpito uomini o donne soli seduti sulle rocce, l'occhio fisso al frantumio delle ondate, al respiro delle mareggiate, allo svariare di tinte dorate, azzurrine, verdastre, brunicce, marroncine, nere. Immobili stavano, come studiando, contemplando, come tentando di decifrare un accavallio di geroglifici.
Come nessun altro paesaggio, il mare tranquilla, assorbe, ricolma.
Distesamente fu esplorato per due o tre secoli dai pittori di marine olandesi e inglesi l'inesauribile Mare del Nord.
Forse al colmo della trafila va posto Caspar David Friedrich, le cui marine sembrano svelarci il mistero del mare quale appare agli occhi dei suoi uomini visti di spalle o ai suoi romiti ricurvi.
Credo che a contemplarlo lungamente si agevoli la strada verso il passato; il mare si trasforma nello specchio della psiche.
Faccio fatica a calarmi indietro ai tre anni, ma credo di veder emergere un intérierur: nel salotto dalle alte tende si sparge un velo di luce, il tappeto attenua i suoni.
Esala dal pavimento l'odore di legno incerato.
Sul tavolo centrale il vaso stringe un mazzo di rose dai petali tesi. Rispondono le roselline dipinte sulle tazze di porcellana e una rosa ricamata sul pannello che scherma il camino.
Al nero pianoforte mia madre suona la Marcia dei seguaci di Davide contro i Filistei dopo lo Chopin.
I capelli raccolti nella crocchia le scoprono l'orecchio e la nuca. Tre liste di trina le scendono lungo il petto fino al lembo della gonna, sporge la punta aguzza della scarpa sospesa sul pedale.
Io ascolto dalla seggiola del corridoio, voglio star fuori dal salotto, nell'oscurità.
Ho pianto quietamente quando mia madre ha suonato lo Chopin, dondolando le gambe, la mani poggiate sui braccioli imbottiti. ...
La luce del salotto, un lieve biancore, si diffonde come grana tenera e tiepida.
Lo Chopin sembra parlare della tenebra che pervade il corridoio. Una tenebra che la luce, pur penetrando fin lì, non dissipa.
E' straziante lo Chopin e la sua tonalità si coglie in quelle ombre. In qualche modo capisco che devo prestarmi a patire gli esitando, le note puntate del tempo rubato, non devo oppormi alle lacrime, soltanto così potrò gettarmi nello scintillante tripudio di accordi che scandisce la marcia dei seguaci di Davide, simile a quella dei puttini danzanti sotto l'orologio dorato sul camino.
Sul tavolo del salotto, sotto le rose, accanto alle ciambelle, la teiera mostra un argento spendo, appannato dal tempo.
Mentre mia madre sta suonando, il tè intride l'acqua e le toglie la crudezza.
Tutto si sacrifica, le foglie del tè, la luce, le superfici brillanti, i suoni che debbono reggersi come uccelli sospesi, isolati fuor del tempo: il la-mi-fa-fa sbrigativo, il do-re che fa sostare.
....... Poiché tutto attorno a me si ritrae, imparo a compormi.
Sento un misto di gioia e di rinuncia che fa tutt'uno con il timbro del pianoforte, con le penombre della casa.
Dà voce alla casa il pianoforte, se ad esso ci si siede pronti e senza tensione. .....................
Tratto da "Lo stupore infantile" di Elémire Zolla - Biblioteca Adelphi 281-
Pag. 28 e seguenti de Lo Stupore Infantile - di Elèmire Zolla.
martedì 3 febbraio 2009
Febbraio
Un mese è passato, un altro è cominciato
da quando allegre campane festeggiarono l'anno morente,
e germogli di molto raro verde cominciarono a spuntare,
come impazienti di un sole più caldo;
e benché le lontane colline siano brulle e spoglie di colore,
il virgineo bucaneve, come un guizzante fuoco,
penetra la fredda terra con la sua verde-screziata cuspide
e nei boschi oscuri il piccolo vagabondo
può trovare una primula.
1° Febbr. 1842 Hortley Coleridge
Iscriviti a:
Post (Atom)