martedì 30 novembre 2010

Ma te ci sei su feizbuk?


Trovo oggi nella posta questa mail proveniente dal Teatro Duse di Bologna, alle cui newsletter ero  e sono iscritta.

.Da: Teatro Duse - Newsletter
Data: 11/30/10 11:34:46
A: .....
Oggetto: Teatro Duse. Offerta per "Ma te ci sei su feizbuk?"                        

Gent.mi,
questa sarà probabilmente l'ultima newsletter che riceverete da noi. Lo dico con grande tristezza poiché come avrete sicuramente letto da tutti i giornali, sembra che anche l'ultima possibilità di gestione del Duse non sia andata in porto. 

Dal primo di gennaio infatti, tutti noi saremo ricollocati in altre strutture ed il Teatro Duse rimarrà desolatamente chiuso. 

Anche per questo abbiamo deciso di darvi l'opportunità di tornare a Teatro cogliendo l'occasione della presentazione del nuovo spettacolo di Giorgio Comaschi dal titolo 
"Ma te ci sei su feizbuk?" che andrà in scena Sabato 4 dicembre alle ore 21 e domenica 5 alle ore 15.30 proponendovi il biglietto di platea scontato di quasi il 50% (12,00 euro l'uno). 

Sarà sufficiente presentarsi alla biglietteria del teatro sin da oggi con la presente newsletter per ottenere il biglietto a prezzo scontato. 

La biglietteria è aperta martedì e giovedì dalle ore 15 alle 19, mercoledì e venerdì dalle ore 10 alle 13, sabato dalle ore 11 alle 19 e dalle ore 20,30, domenica dalle ore 15.
 
Lo spettacolo di Comaschi è un monologo estremamente divertente con un gradito ritorno al cabaret.
 
Spero e mi auguro che molti di voi partecipino per dimostrare alla città, ancora una volta, l'attaccamento a questo "pezzo di storia" che è il nostro Teatro.
 
Un abbraccio caloroso a tutti voi che ci avete seguito con tanta passione, spero di incontrarvi a teatro
 
Con affetto
Marco Montanari
Direttore Teatro Duse  
 


lunedì 29 novembre 2010

Lo spirito dell'Illumismo

Una famosa frase di Woody Allen è:
“Dio è morto, Marx è morto e io non mi sento troppo bene”…

Fin da quando ero bambina, capitando dopo i miei giochi, tra i discorsi degli adulti, sentivo spesso parlare di scienza e di religione come di due ambiti opposti. Stranamente per me che ascoltavo, c'era in questi discorsi una voglia di prevalere sulla opinione altrui che mi rendeva ansiosa. Capivo che Dio non voleva la Scienza, senza comprenderne perché.
Ascoltando ancora, emergeva che scienza era uguale a comunismo, quindi il comunismo non era cattolico.
Sentivo poi signore benvestite disprezzare, quasi con rabbia, gli operai (a quei tempi esistevano anche loro).
Ero bambina ma riuscivo a captare in loro, nei loro gioielli, sulle loro faccie, la PAURA che i comunisti le derubassero dei loro averi.
Non ricordo invece nessuna parola dei loro mariti che pure erano presenti.
Già allora me ne tornavo con gli altri bambini, sentendomi in qualche modo sconfitta. Eppure non ero figlia di operai.
Il post che segue riguarda una recensione che Corrado Augias scrisse su La Repubblica nell'agosto del 2007 di un libro di Tzvetan Todorov, per l'appunto "Lo spirito dell'Illumismo".

Il secolo della ragione che ancora ci illumina
di Corrado Augias , la Repubblica, 17/08/2007
 


Che cos'è Lo spirito dell'illuminismo? 

Con questo titolo Tzvetan Todorov, storico delle idee, pubblica un libretto di esemplare chiarezza nel quale condensa gli elementi di una corrente di pensiero alla quale dobbiamo la fondazione della modernità, e che, a buon diritto, è ritenuta una delle anime dell'Europa. 

Le prime tre righe sono come un manifesto di quello che sarà lo sviluppo nelle pagine successive: 

"Dopo la morte di Dio, dopo il crollo delle utopie, su quale fondamento intellettuale e morale intendiamo costruire la nostra vita comune?". 

Qui è il punto: su cosa si fonda una convivenza libera? Su quali principi? Su quali norme condivise? 

L'autore condensa in alcune parole chiave il grande lascito della stagione dei Lumi partendo dalla definizione di Autonomia:
laicità, verità, umanità. 

Non a caso Autonomia è alla base di tutto. 

Aspetto essenziale dell'Illuminismo fu "privilegiare ciò che ciascuno sceglie e decide in autonomia a detrimento di quanto ci viene imposto da un'autorità esterna". 
Decidere in autonomia significa che non esistono più dogmi, che le forme dell'autorità devono essere della stessa natura degli uomini: naturali e non sovrannaturali. Di conseguenza "la religione esce dallo Stato senza per questo abbandonare l'individuo". 

sabato 27 novembre 2010

Flauto

Una casa di notte tra albero e cespuglio,
una finestra dal tenue bagliore
ed in una stanza impercettibile
se ne stava un flautista e modulava.

Era una popolare melodia,
benigna fluttuava nella notte
come fosse la patria ogni paese
come fosse compiuto ogni cammino.

Nel suo respiro si faceva chiaro
tutto l'arcano senso della vita, 
e di buon grado si affidava il cuore
ed ogni tempo era un presente.

(Hermann Hesse)

giovedì 25 novembre 2010

Nude a tutti i costi

Mi sono imbattuta in un articolo del 2003 de Il Mattino che riporta credo, stralci di questo saggio:
 

"La donna su misura. L’immagine femminile stereotipata dalla pubblicità" saggio curato da Dino Aloi, Flavia Cavalero e Simonetta Carbone.
 

A me sembra che  sia ancora piuttosto attuale, per cui lo riporto qui.

"Siete sicure d’esser sempre veramente affettuose con vostro marito? La vostra periodica irritabilità non è forse causa di malintesi evitabilissimi? Sanadon combatte ogni ricorrente motivo di nervosismo e di dolore": la pubblicità di una brodaglia capace di rendere la donna sempre contenta (siamo nel 1951) è uno dei capolavori del macabro raccolti nel volume La donna su misura. L’immagine femminile stereotipata dalla pubblicità.


Pubblicato dall’editore Il Pennino, curato da Dino Aloi, Flavia Cavalero e Simonetta Carbone, il libro è un divertente e impressionante viaggio tra le immagini pubblicitarie apparse su quotidiani, riviste e periodici, nonché su manifesti e dépliant, a partire dalla fine del 1800 per giungere ai nostri giorni.

Dino Aloi, classe 1964, tra i più brillanti vignettisti italiani (2500 vignette apparse su «Il Travaso», «Radiocorriere», «Paese Sera», «La Gazzetta dello Sport» e più recentemente su «L’Alto Adige»), è il condirettore del Museo del Sorriso di Baiardo, nonché l’ideatore del Premio Giorgio Cavallo, una sorta di Oscar della vignetta che quest’anno è stato assegnato a Sergio Staino. 


E poi le mostre di Jacovitti e Peynet, ma anche quella dedicata alle benemerite «tette».
Un attributo femminile amato tanto dagli umoristi quanto da pubblicitari, e questo forse spiega il perché un vignettista come Aloi abbia deciso di affrontare l’universo della pubblicità:
«Abbiamo sfogliato più di tremila pubblicazioni, dalle riviste umoristiche ai magazine femminili, dai settimanali politici ai fotoromanzi, da ”Topolino” a ”Grand Hotel” alla ”Domenica del Corriere”».
 

Continua Aloi: «Abbiamo preso in considerazione solo le pubblicità, escludendo, per esempio, le copertine di ”Panorama” ed ”Espresso” degli anni della "guerra delle tette", che fanno storia a sé, e così le pubblicità pornografiche.

Alla fine abbiamo selezionato 140 immagini che vengono a formare una galleria di stereotipi, distinte in diverse sezioni: Nude a tutti i costi, Angelo del focolare, Il richiamo del motore, Rapporto con il potere, Sacro e profano, Crisi di identità, Un vero tesoro, Vietato invecchiare, Come siamo caduti in basso, Finalmente l’ironia. 

Una "campionatura" dell’immagine prevalente che la pubblicità ci offre della donna, una sorta di "blob", dove si è voluto evitare il "peggio", ma anche di scadere nel moralismo o nel femminismo"».

In effetti un «catalogo» di questo tipo, e la relativa mostra itinerante, si prestano facilmente ad accuse di moralismo, ma gli autori hanno evitato di cadere nella trappola ricorrendo all’arma dell’ironia: 


«La parte più corposa del volume - spiega ancora Dino Aloi - si intitola "Nude a tutti i costi", ma non vuole essere una critica al nudo in quanto tale. Ho in mente le foto di Helmut Newton e sono meravigliose. Il problema è l’accostamento pretestuoso, quindi il nudo "fuori luogo".
L’abbinamento nudità-oggetto da pubblicizzare è un malcostume che nasce dalla metà degli anni Settanta. Insomma, se devi pubblicizzare un capo di abbigliamento intimo il nudo va benissimo, ma se devi pubblicizzare una pila, una birra o un barattolo di pelati, perché metterci le curve? Il barattolo di passata anche da solo fa la sua figura».
 

Quindi non moralismo, ma sguardo critico per imparare a considerare la pubblicità in modo diverso, con maggiore attenzione e di discernimento.
 

«L’ironia è il vero filo conduttore, perché rende tutto più leggero e stempera le immagini più urtanti. 

Ammetto, comunque, che ci siamo auto-censurati evitando cose troppo forti: penso alla pubblicità di Gucci con la modella con il pube rasato a forma di G».
 

In versione sexy e disinibita, oppure in quella più rassicurante di donna dolce, sottomessa e sempre contenta, o ancora nei panni della manager aggressiva che mette i maschi sotto i suoi tacchi vagamente sado-maso, comunque sia dalla pubblicità la donna ne esce veramente mal ridotta, tritata dagli stereotipi che ieri la volevano «angelo del focolare» e «donna mamma», oggi creatura sensuale, molto nuda, senza un capello bianco, senza una ruga, perché, come recita una pubblicità di Dior, è «vietato invecchiare».
 

E anche se l’immagine femminile cambia con l’evoluzione della società, del costume e degli stili di vita, alcune costanti permangono.
Una tra tutte: l’ossessione per il seno. Che deve essere rigorosamente sodo e per nulla cadente, e quando la natura non aiuta allora si può ricorrere a miracolose creme, come Senobel, di produzione napoletana, che promette un seno «protuberante» o la mitica Poppeina (1899), lozione «composta di vegetali, affatto privi di veleni» capace di conservare «l’opulenza, la sodezza e la freschezza di quella preziosa parte del corpo muliebre».


Se poi l’ossessione del seno sia cosa femminile o malattia indotta dai maschietti, su questo il dibattito è ancora aperto. 

Emanuele Rebuffini (titolo dell'articolo "Nude a tutti i costi", Il Mattino 22 aprile 2003)

martedì 23 novembre 2010

Libertà (J'écris ton nom ...)

Riporto qui alcuni pensieri di autori vari che si esprimono sulla "libertà":

"Non mi pento dei momenti in cui ho sofferto; porto su di me le cicatrici
come se fossero medaglie, so che la libertà ha un prezzo alto, alto quanto quello della schiavitù.
 L'unica differenza è che si paga con piacere, e con un sorriso...
anche quando quel sorriso è bagnato dalle lacrime.
(Paulo Choelo - Lo Zahir)


"I dubbi te li crea la libertà"
(Jim Morrison)


L'uomo è nato libero, e dappertutto è in catene.
(Jean Jacques Rousseau - Il contratto sociale)


L'anima libera e' rara, ma quando la vedi la riconosci: soprattutto
perché provi un senso di benessere, quando le sei vicino.
(Charles Bukowski)


Ciascuno di noi è, in verità, un'immagine del grande gabbiano,
un'infinita idea di libertà, senza limiti.
(Richard Bach - Il Gabbiano Jonathan Livingston)


Erich Fromm scrive:

"L'uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere delle decisioni e le decisioni comportano rischi.
 E poi quali sono i criteri su cui può basare le sue decisioni? L'uomo è abituato che gli si dica cosa deve pensare, anche se gli si dice che deve essere veramente convinto di ciò che pensa".



Chiudo con la poesia di Paul Eluard: Liberté:

"Sur mes cahiers d'écolier
Sur mon pupitre et les arbres
Sur le sable de neige
J'écris ton nom

Sur les pages lues
Sur toutes les pages blanches
Pierre sang papier ou cendre
J'écris ton nom

Sur les images dorées
Sur les armes des guerriers
Sur la couronne des rois
J'écris ton nom

Sur la jungle et le désert
Sur les nids sur les genêts
Sur l'écho de mon enfance
J'écris ton nom

Sur tous mes chiffons d'azur
Sur l'étang soleil moisi
Sur le lac lune vivante
J'écris ton nom

Sur les champs sur l'horizon
Sur les ailes des oiseaux
Et sur le moulin des ombres
J'écris ton nom

Sur chaque bouffées d'aurore
Sur la mer sur les bateaux
Sur la montagne démente
J'écris ton nom

Sur la mousse des nuages
Sur les sueurs de l'orage
Sur la pluie épaisse et fade
J'écris ton nom

Sur les formes scintillantes
Sur les cloches des couleurs
Sur la vérité physique
J'écris ton nom

Sur les sentiers éveillés
Sur les routes déployées
Sur les places qui débordent
J'écris ton nom

Sur la lampe qui s'allume
Sur la lampe qui s'éteint
Sur mes raisons réunies
J'écris ton nom

Sur le fruit coupé en deux
Du miroir et de ma chambre
Sur mon lit coquille vide
J'écris ton nom

Sur mon chien gourmand et tendre
Sur ses oreilles dressées
Sur sa patte maladroite
J'écris ton nom

Sur le tremplin de ma porte
Sur les objets familiers
Sur le flot du feu béni
J'écris ton nom

Sur toute chair accordée
Sur le front de mes amis
Sur chaque main qui se tend
J'écris ton nom

Sur la vitre des surprises
Sur les lèvres attendries
Bien au-dessus du silence
J'écris ton nom

Sur mes refuges détruits
Sur mes phares écroulés
Sur les murs de mon ennui
J'écris ton nom

Sur l'absence sans désir
Sur la solitude nue
Sur les marches de la mort
J'écris ton nom

Sur la santé revenue
Sur le risque disparu
Sur l'espoir sans souvenir
J'écris ton nom

Et par le pouvoir d'un mot
Je recommence ma vie
Je suis né pour te connaître
Pour te nommer

Paul Eluard
( Poésies et vérités, 1942)


Per chi mi legge: Cos'è dunque la libertà?

giovedì 18 novembre 2010

L'indifendibile

L’antica arte dell’illusionismo consiste nel saper dirigere l’attenzione dello spettatore verso un particolare oggetto o movimento, sviandolo da altri che non devono essere visti o ricordati, ma lasciandogli l’impressione di decidere cosa guardare. 


Soltanto in parte essa poggia su manualità e strumenti meccanici: il suo segreto sta nell’uso sapiente del linguaggio, nel timing e nella naturalezza. 


Dobbiamo ringraziare il presidente del Consiglio per averci intrattenuto con illusioni e coups de théâtre di grande maestria in questi ultimi anni, così precisi da farci quasi dimenticare di essere pubblico (pagante) di uno spettacolo. 


Una volta ancora, però, per distrarci da ben altri temi, ha dato prova di una “sensibilità” assai poco consona al ruolo che ricopre. 


L’affermazione rilasciata il 2 novembre non poteva certo passare inosservata: “Da sempre conduco una attività ininterrotta di lavoro, se qualche volta mi succede di guardare in faccia qualche bella ragazza… meglio essere appassionati di belle ragazze che gay!”. 


Tutta l’omofobia di quel “…che gay” ha urtato le orecchie del pubblico laico, per il quale la molteplicità degli stili di vita e la diversità delle esperienze, a partire dall’orientamento sessuale, è radice e fiore della democrazia.
L’omofobia non esaurisce però la gravità di quella frase.


Riascoltatela mentalmente, nella sua interezza. Nient’altro vi colpisce? In questo caso, allora, la controrivoluzione culturale degli ultimi anni è riuscita, i suoi effetti si sono sedimentati e tutto appare “naturale”: quella guerra non dichiarata contro le donne già percepita da Susan Faludi può dirsi finita (e persa dalle donne). Se invece c’è altro che sembra stonare, allora vale la pena di sottolineare ancora qualcosa.
L’immaginario mobilitato dalla frase nel suo complesso è antiquato e degradante per le donne, non solo per i gay. Questa immagine delle “belle donne” da riscuotere come premio dopo la caccia, la rilassante ed eterea pausa dal mondo delle necessità, evoca quella condizione di subordinazione (anche volontaria) che per lungo tempo ha chiuso la donna a casa e l’ha rimossa dalla vita pubblica. Questa frase, parte di un più complesso sistema di potere e di saperi, è una affermazione politica reazionaria, conservatrice e misogina.
Sono in particolare tre i motivi per cui è importante soffermarsi su questo elogio delle belle donne come “dopolavoro”. 


In primis, l’ironia. L’ironia è stata storicamente un’arma pericolosa. Con le battute, lo humour, il sarcasmo, sono stati sdoganati anche concetti e visioni del mondo profondamente antidemocratici. 


Il fertile terreno che ha accolto e nutrito le leggi razziali è stato preparato anche a colpi di battute e vignette antisemite. Naturalmente all’ironia si può rispondere con ironia (e ben venga: l’ironia ha anche rappresentato un formidabile strumento di sfida del potere), ma non si deve temere per questo di prendere sul serio ciò che pur ironicamente viene insinuato. 


L’ironia può disarmare l’avversario che non ne scenda a patti, con l’accusa di non saper scherzare, di non saper stare al gioco, di non avere il senso dello humour. Poche cose temiamo più del non saper mostrarci ironici


Forse è di questo che ha sofferto il femminismo: esisterebbe il problema del velinismo dilagante se non fosse stata sdoganata in tv la “bella statuina” a colpi di paperine e letterine proprio con la scusa del “si fa per scherzare”?


In secondo luogo, da una prospettiva più ampia, la battuta sulle “belle donne” è solo un tassello che va a inserirsi in un mosaico complesso, scolpito da anni di rappresentazioni di donne stereotipate, imprigionate nei ruoli: “semplicemente belle”, “semplicemente madri”, “semplicemente mogli”. 


La donna, come numerose ricerche da tempo hanno mostrato, appare nei media come oggetto sessuale, come rappresentante dell’opinione comune, come “accudente”: molto meno come esperta (se non in materie frivole) o in virtù delle competenze che ha acquisito nel suo percorso professionale e di studio. 


Le viene chiesto di commentare la politica, ma spesso su aspetti superficiali, o su materie di competenza “femminile” (la famiglia, gli affetti). 


O peggio ancora le viene chiesto soltanto di “essere”, di stare, di incarnare la spensieratezza intesa precisamente come mancanza di pensiero.


La controrivoluzione ha fatto del binomio pupa-secchione (corpo femminile-mente maschile) il proprio baluardo: l’immagine evocata non fa che confermare l’idea che la donna valga in quanto “natura” più che “cultura”.


Ma l’immagine mediatica riflette un mondo in cui non solo la strada dello spettacolo, ma sempre più anche quella della politica e delle istituzioni sembra spianata alle donne che hanno saputo investire nella bellezza più che nelle competenze. 

mercoledì 17 novembre 2010

L'Amore

"Era dentro le case che si produceva quel che conta nella vita - il calore e la pace di un luogo dove sentirsi al sicuro, cibo per i nostri corpi, nutrimento per le nostre anime.
E' lì che abbiamo imparato a stare al mondo con dignità, con integrità; è lì che abbiamo imparato ad avere fede. A renderci possibile questa vita, facendoci da guide e da maestre, sono state le donne nere. "


 E ancora:

"Tutti affermano che l'amore è importante, eppure siamo bombardati da ogni parte dall'evidenza del suo fallimento."  (da Tutto sull'amore)

 bell hooks, filosofa afroamericana

lunedì 15 novembre 2010

Modi di essere ricchi

" Dovreste conoscere ciò che vuole dire povertà, forse la nostra gente ha molti beni materiali, forse ha tutto, ma credo che se guardiamo nelle nostre case, vediamo quanto è difficile trovare un sorriso e il sorriso è il principio dell'amore."

Queste parole sono attribuite a Madre Maria Teresa.

domenica 14 novembre 2010

Domenica mattina

Mattina presto, mio marito è gia sceso in cucina e sento arrivarmi odore di caffè. Guardo dalla finestra e, al di là delle tendine, vedo affacciarsi la luce del giorno e le foglie rosse del liquidambar ancora ben attaccate all'albero.

E' sufficiente: mi alzo, scendo a prendere a mia volta il caffè, ma prima apro alla Frida; anzi apro tutti gli scuri delle porte finestre. La luce è ancora poca, ma la Beniamina - la nostra pianta di ficus - ne avrà piacere penso, dopo avere trascorso tutta l'estate in giardino.

Più tardi esco con Frida.

E' una mattina grigia, molto tranquilla - a quest'ora di domenica la gente dorme di solito.

Una leggera nebbia avvolge i campi, la terra nuda, gli alberi lontani in una foschia piacevole.
Respiro quel delizioso odore di foglie cadute, di nebbia - che  a me piace.

Frida è in cerca di gatti e annusa spesso vicino ai tronchi o ai muretti, controlla sotto tutte le aute parcheggiate, spesso rifugio felino.

Guardo intanto i giardini, da sempre una mia passione.

In alcuni i gerani sono ancora fioriti, poche invece le rose.
Ci sono bacche che allietano e risvegliano con il loro colore, il grigio della nebbia.
Alcuni giardini sono in ordine perfetto, tuttre le foglie raccolte e l'erba del prato è lucente; in altri, come nel mio, le foglie formano un prezioso tappeto multicolore.

Scomparsi invece le poltrone e i giochi dei bambini.
Rimangono uno scivolo e  un'altalena nel campetto pubblico accanto alla chiesa, peraltro, deserto.

Pochi gli incontri: due tortore dal collare sacro che volano vicine, un signore che porta al guinzaglio uno schnauzer nano pepe e sale.
Quest'ultimo abbaia ad una Frida interessata solo ai gatti e che non degna i suoi simili.
Ora di tornare, rientriamo in casa dove mio marito sta seguendo la Formula 1 e prendiamo un altro caffè.

venerdì 12 novembre 2010

Dubbio








"Può un vero cristiano amare il capitalismo? 


Perché se è vero che da un lato è stato possibile quantificare le vittime del comunismo, le vittime del capitalismo, invece non vengono quantificate da nessuno."
(Andrea Camilleri)

giovedì 11 novembre 2010

Estate di San Martino

“... ma per le vie del borgo dal ribollir dè tini va l'aspro odor dei vini l'anime a rallegrar”


Chi non ricorda questi versi della poesia di Giosuè Carducci che tutti, proprio tutti, abbiamo imparato a memoria alle elementari? E come non ricordarsi della leggenda di San Martino che divise in due il suo mantello per riscaldare un povero mendicante e fu ricompensato dal Signore che inviò qualche giorno di clima mite e temperato mentre la stagione volgeva ai rigori dell'inverno?

La leggenda del mantello di San Martino è molto antica e non si sa quando sia stata associata dalla memoria popolare e contadina al bel periodo che caratterizza la seconda decade di novembre che noi chiamiamo Estate di San Martino mentre nei Paesi anglosassone viene definita Indian Summer: Estate Indiana. 

Sia come sia San Martino e l'Estate Indiana vengono festeggiate a partire dall'11 novembre e per tre o quattro giorni. Martino, vissuto nel IV, secolo era nato in Ungheria. Il padre, ufficiale dell'esercito romano, aveva dato al figlio il nome di Martino in onore di Marte, Dio della Guerra. La famiglia di Martino si trasferì dapprima a Pavia dove, all'età di quindici anni, Martino entrò nell'esercito. Da Pavia venne inviato in Gallia e qui si convertì al cristianesimo e divenne monaco nella regione di Poitiers. 

L'episodio del mantello avvenne quando Martino era ancora un soldato. Dopo aver ricevuto in sogno la visita del Signore,  Martino prese i voti e si adoperò per la conversione al cristianesimo delle popolazioni galliche. 

Nel 371 i cittadini di Tours lo vollero vescovo della loro città. L'11 novembre si festeggia la data della sepoltura di San Martino e la basilica a lui dedicata nella città di Tours fu a lungo meta di pellegrinaggi medievali.


 In Italia San Martino è patrono di Belluno e di un centinaio di altri comuni. Il culto del Santo è tanto amato che si perde il conto delle feste a lui dedicate. 


La popolarità è confermata anche dai moltissimi proverbi dedicati a San Martino e alla festa dell'11 novembre: ”a San Martino uccidi il maiale e bevi vino”, “a San Martino ogni mosto diventa vino”. Ed è suffragata anche dalle centinaia di migliaia di ricerche con la parola chiave San Martino che già dal mese scorso sono state effettuate tramite i principali motori di ricerca.

Nata come festa di carattere religioso la ricorrenza nel corso dei secoli si è trasformata in un evento di tipo enogastronomico.

Un tempo l'11 novembre segnava per i contadini la fine di un anno di lavoro e il momento in cui scadevano i contratti agrari. 
Se il padrone chiedeva ai contadini di non rimanere per l'anno successivo questi dovevano traslocare e andare alla ricerca di un nuovo padrone e di un nuovo alloggio. 


Da qui il detto “fare San Martino” che era divenuto sinonimo di traslocare. 


Prima di partire si faceva una grande mangiata di arrosto di oca o di tacchino e tra i piatti tipici di questo periodo non mancavano quelli a base di maiale.


La tradizione racconta infatti che i contadini, in occasione della fine dei contratti agricoli, pagassero l'affitto della terra al padrone in parte con la carne dei maiali che allevavano e macellavano proprio durante i giorni dell'estate di San Martino. Il clima mite di questi giorni permetteva infatti una ottima macellazione delle carni.

Alla scadenza dei contratti si aprivano anche le botti per assaggiare il primo bicchiere di vino novello accompagnato alle castagne e ai dolci tipici del periodo. 


Ogni Regione italiana ha le sue usanze e le proprie rievocazioni storiche della leggenda del Santo e ogni città o borgo festeggia l'Estate di San Martino che “dura tre giorni e un pochinino” con sagre, eventi, feste che hanno come comun denominatore il vino, le castagne, i funghi, l'olio, le frittelle, i biscotti e centinaia di altre specialità. 



Indian Summer: un vecchio mio post 

mercoledì 10 novembre 2010

Nel silenzio dei fiori

Nel silenzio dei fiori
in quel silenzio al centro.
Nell'umiltà
del seme nel tacito afferrarsi
di radici al terreno
il brulichio delle menti umane
appare tarlato di bene.
Uno spasmo di portata inutile
dentro il destino terrestre.

(Mariangela Gualtieri)

lunedì 8 novembre 2010

Attempato, ma attuale

Intendo cercare se può esistere nell’ordine civile qualche regola di amministrazione legittima e sicura, prendendo gli uomini come sono e le leggi come possono essere: tenterò di collegare sempre, in questa ricerca, ciò che il diritto permette con ciò che l’interesse prescrive, in modo che la giustizia e l’utilità non si trovino separate. 

Entro in materia senza dimostrare l’importanza del mio argomento. 

Mi si chiederà se sono un principe o un legislatore per scrivere di politica. 

Rispondo di no, ed è il motivo per cui scrivo di politica. 

Se fossi un principe o un legislatore non perderei il mio tempo a dire ciò che bisogna fare; lo farei o rimarrei in silenzio. 

Nato cittadino di uno stato libero e membro del sovrano, per quanto debole possa essere l’influenza della mia voce negli affari pubblici, il diritto di votare su di essi è sufficiente a impormi il dovere di istruirmi in materia....

domenica 7 novembre 2010

E' tempo, amico

Certo per me, amico, è tempo
di appendere la cetra
in contemplazione
e silenzio.


Il cielo è troppo alto
e vasto
perché risuoni di questi
solitari sospiri.


Tempo è di unire le voci,
di fonderle insieme
e lasciare che la grazia canti
e ci salvi la Bellezza.


Come un tempo cantavano le foreste
tra salmo e salmo
dai maestosi cori
e il brillio delle vetrate
e le absidi in fiamme.


E i fiumi battevano le mani
al Suo apparire dalle cupole
lungo i raggi obliqui della sera;
e angeli volavano sulle case
e per le campagne e i deserti
riprendevano a fiorire.


Oppure si udiva fra le pause
scricchiolare la luce nell'orto, quando
pareva che un usignolo cantasse
"Filii et Filiae", a Pasqua.


(David Maria Turoldo)

giovedì 4 novembre 2010

Citazioni

Limitarsi a vivere non è abbastanza.

C'è bisogno anche del sole, della libertà  e di un piccolo fiore.

martedì 2 novembre 2010

Ricomincio con una risata.

Tempo fa su Wikipedia, ho letto quanto segue sulla risata verde:


"


Per risata verde si intende quel tipo di Risata che nasce dall'impotenza di fronte ad un
argomento davanti al quale non c'è altra alternativa che, appunto, la risata della disperazione.

Il termine è nato nei cabaret tedeschi degli anni venti in cui era molto diffusa la satira grottesca.

In Italia il concetto è stato ripreso dal comico Daniele Luttazzi

Esempio lampante di risata verde¨ è quella generata dalle barzellette che gli internati dei campi di concentramento si raccontavano tra di loro.

Secondo Daniele Luttazzi la satira grottesca si distingue dalla satira ironica per il fatto di
lavorare per addizione/accumulazione con l'obiettivo di far percepire l'orrore di una vicenda, mentre quella ironica per sottrazione.
La satira grottesca è quella che genera più spesso la risata verde.
Se l'autore è particolarmente abile nel raggiungere l'obiettivo di trasmettere il  dolore del far percepire il dolore dirompente.

Scrive Luttazzi che gli esempi di satira grottesca sono rari; ebbe invece una grande diffusione nei cabaret di Berlino degli anni venti e trenta, che venne poi cancellata dal carico di sofferenze della Seconda guerra mondiale.
I più grandi autori di questo genere sono stati Karl Kraus e Karl Valentin, maestri
della risata verde.

"
Un altro sito, a mio avviso, interessante è questo:
http://forum.gamesvillage.it/showthread.php?760578-Sulla-satira-e-la-risata-fascistoide-(wall-of-text-di-Daniele-Luttazzi)

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