Se la vita fosse un palcoscenico, come Goffman ci suggerisce, lo straniero, entrando a far parte della compagnia degli attori, dovrebbe conoscere il copione, lo stile di recitazione, il gusto del pubblico e quei balletti cerimoniali che caratterizzano la vita quotidiana.
Il "pensare come al solito" e il "sapere dato per scontato" dello straniero è quindi sospeso nella società ospite; non serve più come schema di interpretazione del mondo, diventa piuttosto un impedimento nell'interpretare e nell'orientarsi nel nuovo ambiente.
Sul piano dell'interazione questo aspetto ha per lo straniero conseguenze disastrose.
La mancanza del senso della distanza, il suo oscillare tra il distacco e l'intimità, la sua esitazione e la sua incertezza, così come la sua diffidenza in ogni questione che sembra così semplice e priva di complicazioni per coloro che si affidano all'efficacia delle ricette indiscusse che devono essere seguite.
La differenza percepita dal gruppo e dallo straniero si riferisce appunto alla mancanza di un passato comune, di un sistema di riferimenti cognitivi e morali che perde la sua validità nella nuova situazione, quella dell'incontro con la diversità.
Nel corso del cammino dell'umanità, si modificano le rappresentazioni dell'altro ma ciò che non cambia probabilmente è l'ambivalenza di cui si caratterizza il rapporto con l'altro, nei confronti del quale si dirigono sentimenti di repulsione e, nel contempo, di attrazione.
La figura dello straniero si può collocare entro una dialettica di vicinanza e lontananza, uguaglianza e differenza, dentro e fuori la comunità. In ogni epoca, l'altro rappresenta il futuro vago e non programmato, il luogo dell'incertezza perpetua e, come tale, qualcosa di attraente e, al tempo stesso, di spaventoso.
C'è quindi ragione di ritenere che le rappresentazioni dell'altro e le ideologie socio-politiche ad esse sottostanti incidano significativamente sul modo di rapportarsi con gli altri.
Il 19 novembre del 1982 si spegneva Erving Goffman, uno dei sociologi più originali e prolifici del secolo scorso.
Il "pensare come al solito" e il "sapere dato per scontato" dello straniero è quindi sospeso nella società ospite; non serve più come schema di interpretazione del mondo, diventa piuttosto un impedimento nell'interpretare e nell'orientarsi nel nuovo ambiente.
Sul piano dell'interazione questo aspetto ha per lo straniero conseguenze disastrose.
La mancanza del senso della distanza, il suo oscillare tra il distacco e l'intimità, la sua esitazione e la sua incertezza, così come la sua diffidenza in ogni questione che sembra così semplice e priva di complicazioni per coloro che si affidano all'efficacia delle ricette indiscusse che devono essere seguite.
La differenza percepita dal gruppo e dallo straniero si riferisce appunto alla mancanza di un passato comune, di un sistema di riferimenti cognitivi e morali che perde la sua validità nella nuova situazione, quella dell'incontro con la diversità.
Nel corso del cammino dell'umanità, si modificano le rappresentazioni dell'altro ma ciò che non cambia probabilmente è l'ambivalenza di cui si caratterizza il rapporto con l'altro, nei confronti del quale si dirigono sentimenti di repulsione e, nel contempo, di attrazione.
La figura dello straniero si può collocare entro una dialettica di vicinanza e lontananza, uguaglianza e differenza, dentro e fuori la comunità. In ogni epoca, l'altro rappresenta il futuro vago e non programmato, il luogo dell'incertezza perpetua e, come tale, qualcosa di attraente e, al tempo stesso, di spaventoso.
C'è quindi ragione di ritenere che le rappresentazioni dell'altro e le ideologie socio-politiche ad esse sottostanti incidano significativamente sul modo di rapportarsi con gli altri.
Il 19 novembre del 1982 si spegneva Erving Goffman, uno dei sociologi più originali e prolifici del secolo scorso.