Vorrei consigliare a chi ama leggere, questo libro, di cui qui
potete cogliere maggiori notizie.
Un brano (anzi due) li devo riportare perché mi piacciono moltissimo:
"Una vera civiltà dovrebbe essere il luogo dove tutto ciò che è più debole viene accolto e protetto.
Noi dovremmo essere venuti al mondo per dividere il pane con i più poveri, far giocare i bambini e dare una cuccia agli animali.
La nostra vita non passerebbe invano se avessimo un'idea poetica della politica.
E invece, non lasciamo mai che la poesia sfondi gli steccati dentro i quali abbiamo circoscritto arbitrariamente la nostra vita.
Questo accade a causa della nostra invincibile paura delle cose estreme, che ci induce a pensare i gesti di una giornata come eventi che è meglio tenere separati fra loro. La musica è lontana dal lavoro e il lavoro è lontano dall'amore che a sua volta è lontano dalla letteratura.
E tutto ciò che di bello e di grande ci cade sulla testa marcisce perché, semplicemente, non trova il suo luogo. Ci crediamo furbi, perché spingiamo via le ceneri nella direzione “giusta” del vento, via da noi."
E ancora:
"Un critico dovrebbe portare in dono i Nuovi versi alla Lina di Saba a un uomo abbandonato, e non per consolarlo, ma perché possa intuire che il lavoro durissimo che ci tocca in sorte è fare di un destino una figura musicale.
Dovrebbe sbattere in faccia gli ultimi canti dell'Odissea ai fascisti che odiano l'immigrato, e non per educarli, ma perché possano sospettare che è gradito agli dèi solo chi sa accogliere il viandante sconosciuto, ascoltare il suo racconto, mentre per gli altri ci sarà solo la freccia impassibile di Ulisse.
La nostra anima è questo: intuire e sospettare.
La possibilità perenne di un'apertura.
Ciò che avviene nella letteratura è il miracolo di un inchino reciproco, di uno sfiorarsi di labbra, tra l'anima e il mondo. Dentro questo incontro, come i conigli e le colombe e i foulards nel cappello del prestigiatore, ci sono tutti i sentimenti possibili: lo sgomento dell'Islandese di Leopardi di fronte alla macchina universale della sofferenza, la nostalgia di Omero e Proust per un tempo degli eroi che solo il respiro del verso e della frase potranno restituire al silenzio del presente, la pace conquistata da Tolstoj nei bivacchi della guerra...
Il mondo non ha, forse, una sua direzione ma è vasto e imprevedibile tanto quanto noi, nella scrittura, ci ostiniamo a pensarlo. […]
Il libro citato è di Emanuele Trevi - Castelvecchi Editore
Il libro citato è di Emanuele Trevi - Castelvecchi Editore
Il neretto è mio...