"Eravamo seduti una di fronte all'altro sul vagone di un treno, con le gambe accavallate e un libro in mano. Quando lui si addormentò cominciai a fissare il suo ventre in modo quasi imbarazzante.
Vidi in quell'uomo le sembianze di un animale dalla postura inconsueta per un quadrupede, seduto sugli arti posteriori, mentre quelli anteriori, che avrebbero dovuto prima o poi toccare il terreno, trattenevano ancora il libro.
Così guardai le mie mani ed ebbi gli stessi pensieri. Guardai ancora-il suo ventre, poi il mio, così esposti e vulnerabili, il suo teso sotto la camicia, che lasciava intravedere la forza virile e il mio, morbido e rassicurante, stretto dalla maglia attillata. Capii la forza di quel possibile contatto. Nessun animale poteva sentire e guardare un proprio simile da quella prospettiva.
Ma certo!
Ricapitolai così la storia dell'uomo: siamo bipedi e tutti figli di abbracci lontani almeno 2 milioni di anni.
L'abbraccio nell'intimità tra uomo e donna, l'abbraccio costante e rassicurante tra madre e figlio, l'abbraccio forte tra compagni che condividono le stesse esperienze, l'abbraccio confortante tra congiunti di fronte alla morte, gli abbracci noti e quelli inaspettati, non furono più dimenticati e, generazione dopo generazione, sono arrivati a noi.
Così è cresciuto l'uomo, pensai.
Tra questi pensieri il mio compagno di viaggio si svegliò e mi sorrise."