Nella vasta e articolata produzione hollywoodiana che sta tra la fine della seconda guerra mondiale e il 1960, emerge un un nuovo impegno politico in senso lato, comune a registri e sceneggiatori, che iniziano ad affrontare esplicitamente con la loro opera temi quali la giustizia, l'antisemitismo, il razzismo, riflettendo le inquietudini sociali e ideologiche che attraversano la società americana di quegli anni.
Si tratta di un tentativo di rinnovamento ideologico e narrativo del cinema hollywoodiano dal suo interno, riflettendo la crisi di una società, ma anche la fine di quell'orizzonte produttivo cinematografico americano che poteva essere definito come "fabbrica dei sogni".
Di origine turca, Elia Kazan, giunge al cinema dopo una significativa attività teatrale con il Group Theatre, che risulterà determinante anche per la concezione drammaturgica alla base del suo cinema, sia nel trattamento della scena, sia nella direzione degli attori.
Le prime opere cinematografiche, tra cui "Un albero cresce a Brooklin" del 1945 e "Pinky, la negra bianca" del 1949 riflettono la necessità di affrontare tematiche sociali.
Kazan comincia una specie di autobiografia indiretta, in cui emorgono eroi negativi, fortemente critici nel loro tentativo di confrontarsi con le strutture sociali.
Coinvolto nella "caccia alle streghe" a Hollywood nel 1952, Kazan fu tra coloro che scelsero la delazione.
Le proprie contraddizioni, il disagio morale ed intellettuale che ne derivavano e che permeavano in generale la società, si riflettono del resto fortemente nelle sue opere degli anni Cinquanta, in una analisi approfondita e complessa della crisi americana.
- Un tram che si chiama desiderio da Teneessee Williams:
- Fronte del porto, dramma giovanile sullo sfondo di lotte sindacali;
- La valle dell'Eden - da Steinbeck - dramma generazionale nella provincia americana sullo sfondo della prima guerra mondiale;
- Splendore dell'erba.
Al mondo del cinema è dedicato Gli ultimi fuochi (1976) sceneggiato da Harold Pinter, dall'omonimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald, in cui, attraverso la denuncia della brutalità della macchina hollywoodiana, si afferma l'impossibilità di essere se stessi.