domenica 19 febbraio 2012

Un uomo che dice NO

Il 5 febbraio scorso è uscito un articolo di di Roberto Escobar, su il Sole 24 Ore, relativo a Albert Camus.
Purtroppo, non l'ho salvato al momento e ora non sono in grado di rintracciarlo.
Era un approfondimento che mi era piaciuto molto. Oggi, nel cercarlo, mi sono tuttavia imbattuta in questo altrettanto valido articolo.


Fonte: Albert Camus, l’uomo in rivolta | STAMPA LIBERA:

"Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no". E’ questo l’incipit dell’opera che ha segnato il definitivo distacco fra Albert Camus e Sartre. "L’uomo in rivolta" – edito per la prima volta da Gallimard, nel 1951 – è sicuramente il libro più attuale dello scrittore algerino.
Dal cartesiano “cogito ergo sum” – attraverso una feroce disanima dei processi storico-sociologici che portano l’Individuo a rivoltarsi contro l’ordine costituito, come contro Dio e i suoi feticci – Camus approda a "mi rivolto, dunque siamo"
Nell'esperienza assurda la sofferenza è individuale – scrive l’autore. – A principiare dal moto di rivolta, essa ha coscienza di essere collettiva, è avventura di tutti".


Albert Camus

Nato come continuazione de "Il mito di Sisifo", nell’opera "L’Homme révolté" Camus passa in rassegna tutti quegli uomini che, nel corso della Storia, hanno superato le soglie della rivolta individualista, trasformando – nel bene e nel male – la propria battaglia personale in una lotta di popolo: Louis Antoine de Saint-Just, Michail Bakunin, Max Stirner, Sergej Necaev, Vladimir Ilyich Lenin , Joseph Stalin, ma anche Ernst Junger, Adolf Hitler e Benito Mussolini. Su tutti, però, sovrasta il pensiero di Nietzsche, una presenza costante, fino all’ultimo capitolo.

La critica al totalitarismo sovietico – attuata da Camus – gli alienerà la simpatia di Sartre e dei suoi accoliti.
In anticipo sui tempi, l’autore algerino comprese che, benché le rivoluzioni, attuate nel corso del '900, partissero da una effettiva esigenza di cambiamento delle condizioni di schiavismo in cui versava gran parte dell’umanità, queste si trasformarono in un ulteriore sfruttamento dell’uomo sull'uomo.

"La manifestazione pseudo-rivoluzionaria – scrive Camus – possiede ora la sua formula: bisogna uccidere ogni libertà. Il cammino dell’unità passa allora per la totalità". Ecco qui riassunta la differenza fra rivolta e rivoluzione. E ancora: 

"Non appena la rivolta, dimentica delle sue generose origini, si lascia contaminare dal risentimento, nega la vita, corre alla distruzione e fa alzare la coorte ghignante di quei piccoli ribelli, seme di schiavi, che finiscono per offrirsi, oggi, su tutti i mercati d’Europa, a qualsiasi servitù".


Così come l’utopia marxista venne distorta e trasformata in mera lotta nichilistica per l’affermazione assoluta di sé, arrivando all’idolatria della figura del capo, parimenti, la lotta intrapresa dai movimenti fascisti europei portò ai medesimi risultati. Un ragionamento comprensibilissimo, se visto nella prospettiva camusiana della rivolta collettiva tesa al raggiungimento della liberazione, fisica e culturale, dell’Uomo.

Certamente, il procedere filosofico seguito da Camus, nell’analisi dei processi storici, è viziato dal retroterra culturale profondamente libertario dell’autore. Un libertarismo avulso tanto dalla rivolta nichilista di Stirner, quanto dal ribellismo jungeriano, benché, a tratti, si possano individuare diverse affinità.


Non fu, comunque, solo il suo acceso anti-stalinismo a renderlo inviso alla cricca dell’ex collaborazionista (pentito?) Sartre. A pesare sulla damnatio memoriae di Camus, grande importanza ebbero le sue posizioni in merito alla battaglia indipendentista Algerina. L’autore venne accusato di non aver espresso una posizione chiara: Camus parteggiava per i “pieds noir” o per il il FLN?. Il suo non schierarsi – o meglio – il suo denunciare le violenze, di ambedue le fazioni contendenti, sarà la causa dell’isolamento intellettuale dell’autore, in vita, come post-mortem.
In merito alla questione algerina, Camus dichiara: "Sono considerato sospetto dai nazionalisti di entrambe le parti. Ho il torto, per gli uni, di non essere abbastanza… patriota. Per gli altri, lo sono anche troppo. Quel che troppi arabi non comprendono è che amo l’Algeria come un francese che ama gli arabi (…)".
Camus non era nuovo a questi contrasti. 

Eclatante fu la sua presa di posizione in merito ai bombardamenti su Nagasaki e Hiroshima:
 "La civiltà meccanica è appena giunta al suo ultimo grado di barbarie", scriveva – su Combat – l’autore algerino, l’8 agosto del 1945. Anche in questo caso, nell’area resistenzialista francese e non, il suo grido rimase isolato. Come, del resto, rimase lettera morta la sua "difesa" di Brasillach, durante il processo per collaborazionismo a carico di quest’ultimo.

Tutto è lecito? Il fine giustifica i mezzi? Che senso hanno le rivoluzioni? Sono queste le domande che si pone Camus, cercando di trovare un percorso che porti l’uomo occidentale ad uscire dal gorgo nichilista in cui è intrappolato. Bisogna "accettare" e superare Ivan Karamazov e il suo "tutto è assurdo e quindi tutto è permesso", abbandonare lo sterile ribellismo, diffidare dei profeti della rivoluzione, è questo ciò che – secondo Camus – bisogna mettere in atto.

Se in principio l’uomo in rivolta è un "chevalier seul", fedele solo a se stesso e ai suoi personalissimi principi – inevitabilmente – durante il suo cammino incontra altri uomini che, come lui, dal fondo delle tenebre attendono l’imminente avvento della luce.

"Al di là del nichilismo – scrive Camus – noi, tutti, tra le rovine, prepariamo una rinascita. Ma pochi lo sanno."

Autore Lino Bottaro |  
di Romano Guatta Caldini – 03/11/2011
Da www.rinascita.eu

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