martedì 13 gennaio 2009

Le lacrime di Nietzsche

A chi è appassionato di psicanalisi, storia della psicoanalisi, ecc.. ecco questo libro, la cui recensione è stata scritta da Elisa Boncini su Vertici on line.

Breurer è in attesa di una donna, Lou Salomè, e si interroga su chi sia e su che cosa desideri da lui.
“Dottor Breuer, devo vedervi per una questione di grande urgenza. Il futuro della filosofia tedesca è a repentaglio. Vi prego di volervi incontrare con me domani mattina alle nove al Caffè Sorrento. Lou Salomè”.
E’ immerso nei suoi pensieri quando all’improvviso scorge una donna che con passo sicuro che gli si avvicina . Una donna di una bellezza inusuale, decisa ed elegante. Senza esitazione Lou Salomè inizia a spiegargli perché ha richiesto l’incontro: il filosofo e suo personale amico Friedrich Nietzsche si trova in uno stato di profonda disperazione con sintomi fisici gravi quali tormentose emicranie, continui accessi di nausea, cecità, disturbi gastrici e capogiri. Non riesce a dormire e per questo assume dosi pericolose di morfina. La donna ha paura che l’amico possa arrivare a suicidarsi. Nessun medico è stato in grado di capire la sua malattia né di alleviare i suoi sintomi, così lei si è rivolta a Breuer medico personale di grandi scienziati, artisti e filosofi nonché diagnosta geniale.

Breuer ritiene di non poter essere di aiuto al filosofo dato che per la disperazione non vi è medicina come non vi è un medico per l’anima. E’ vero che con la sua paziente Bertha Pappenheim, alias Anna O., la tecnica sperimentale da lui denominata “cura basata sul parlare aveva funzionato almeno in parte e la paziente aveva avuto dei giovamenti ma Breuer nutre dei dubbi che possa funzionare con questo paziente, data la natura ideale dei suoi sintomi.

La cura da lui provata con Anna O. la quale presentava tutti i sintomi tipici dell’isteria (disturbi sensori e motori, contrazioni muscolari, sordità, allucinazioni, amnesia, afonia, fobie) si era basata inizialmente sull’eliminazione dei sintomi per mezzo della suggestione ipnotica e in seguito unicamente permettendo alla donna di raccontare nei particolari ogni evento della giornata che l’avesse turbata.

“Spazzare il camino”.
Nel momento in cui Bertha riusciva a risalire all’origine di un sintomo raccontando al medico tutto, comprese le emozioni da lei provate, quel sintomo sembrava scomparire.
Purtroppo Breuer non aveva più in cura quella giovane donna e, a causa della gelosia di sua moglie Mathilde, era stato costretta a trasferirla al sanatorio di Binswanger a Kreuzlingen.

Settimane più tardi Breuer riceve una nuova visita di Fräulein Salomè.
La donna racconta al medico come ha conosciuto Nietzsche e quali fossero i loro rapporti. Aveva fatto la sua conoscenza otto mesi prima tramite Paul Rée, anch’egli filosofo amico di Nietzsche.
Da allora aveva avuto inizio tra loro un ménage à trois casto, intellettuale, basato su lunghe discussioni filosofiche. La loro trinità era andata però sgretolandosi a causa delle influenze negative della madre e della sorella di Nietzsche che non vedevano di buon occhio la situazione e dell’interesse amoroso e fisico che Paul Rée aveva sviluppato nei confronti di Lou e che aveva portato i due uomini a frequenti litigi.
La donna si era trovata costretta a porre fine al loro rapporto connotato da troppo dolore e da troppe intrusioni.

Breuer ascolta il racconto interessato e dubbioso al tempo stesso. Accetta di incontrare Nietzsche con la clausola di non fare menzione di Fräulein Salomè né del fatto che la donna gli avesse lasciato i libri non ancora pubblicati di Nietzsche. Due settimane più tardi Breuer riceve Nietzsche nel suo studio e lo invita a raccontare con precisione i suoi sintomi e a descrivere i suoi dolorosi attacchi di emicrania.
Poi procede con l’anamnesi e con l’esame fisico.

Nonostante l’abbondanza di sintomi riportati dal paziente tuttavia non trova alcuna anomalia fisica.

Alla parola ‘disperazione’ azzardata da Breuer nel tentativo di andare oltre il filosofo tende a bloccarsi e a cambiare discorso, al tentativo del medico di ricollegare i sintomi fisici a difficoltà psicologiche e sociali Nietzsche ribadisce che la malattia c’era già prima che lui provasse ad avvicinarsi agli altri per esserne tradito. Nietzsche quindi non aveva alcuna intenzione di discutere e neanche di ammettere l’esistenza nel proprio intimo di uno stato di disperazione.

“Stava fingendo oppure non avvertiva la disperazione perché aveva già deciso per il suicidio?” Inizia così la cura di Friedrich Nietzsche basata prima sui farmaci per ridurre i sintomi fisici e poi sul parlare.

Ma la cura non è così facile: Nietzsche si mostra seccato ogni volta che Breuer mostra comprensione ed empatia ed interpreta qualsiasi espressione di sentimenti positivi come una sfida di potenza. “Aprirsi a vicenda è il preludio del tradimento e il tradimento fa star male, no?”. Inoltre vive la sua malattia come un qualcosa di positivo che gli ha permesso di staccarsi dalla vita universitaria che non desiderava più. Un qualcosa che gli ha permesso di emanciparsi. “Tutto ciò che non mi uccide mi rafforza”.

Lo stress, proposto da Breuer come causa sottesa di emicrania e che può derivare da diversi fattori psicologici, viene escluso da Nietzsche: proprio rinunciando alla vita lavorativa e sociale è riuscito ad eliminare del tutto lo stress dalla sua vita. Ma, come dice Breuer, l’estremo isolamento non elimina affatto lo stress, è stress esso stesso: la solitudine è un terreno di coltura della malattia.

Alla proposta del medico di ricoverarlo per un mese in modo da tenere sotto osservazione i suoi attacchi di emicrania Nietzsche rifiuta e se ne va dallo studio, ma la sera stessa Breuer viene svegliato dal portiere del gasthaus dove risiede il filosofo. Sta molto male. Ha un attacco di emicrania molto forte e ha ingerito troppo idrato di cloralio. E’ privo di sensi. Breuer riesce a placare l’attacco con farmaci e massaggi. Avvicinandosi a lui sente che sta sussurrando: “Aiutami, aiutami, aiutami, aiutami!”. Un altro Nietzsche, capace di chiedere aiuto.

Nel momento in cui Nietzsche si reca nello studio di Breuer per chiudere ogni rapporto, il medico ha già escogitato un piano. Ha deciso di calarsi lui nei panni del paziente chiedendo al filosofo di curarlo, di guarirlo dalla sua disperazione. Infatti, anche se la sua vita all’apparenza sembra essere appagante egli si sente profondamente disperato, oppresso dai doveri e dalla famiglia, preoccupato di invecchiare e terrorizzato all’idea di morire. Sente che gli manca il coraggio di cambiare vita o di continuare a viverla.

“Vi chiedo solo di ascoltarmi, interrompendomi con tutte le osservazioni che vorrete”.
Il patto tra i due stabilisce che Nietzsche si sarebbe impegnato nell’aiutare Breuer a risolvere la sua disperazione e che lui si sarebbe fatto ricoverare alla clinica Lauzon per accertamenti e controlli. Lo scopo di Breuer è ovviamente diverso: egli vuole arrivare indirettamente alla radici del male del filosofo, invitandolo ad esprimere apertamente la sua disperazione e a liberare la coscienza nascosta.

Favorire l’integrazione dell’inconscio come gli ha suggerito il suo caro amico Sigmund Freud.

Inizia così un doppio rapporto terapeutico. Breuer si reca ogni giorno alla clinica per visitare Nietzsche e valutare l’andamento dei suoi sintomi e Nietzsche si impegna nell’ascoltare e consigliare il medico.

Nel corso degli incontri Breuer racconta al filosofo ogni aspetto della sua vita che gli crea angoscia: Bertha a cui pensa costantemente e che desidera più di ogni altra cosa, la sua ex assistente e amica Eva che ha dovuto licenziare sempre per la gelosia della moglie, la vita familiare che avverte sempre più oppressiva e costretta e il suo rapporto con la moglie. Piano piano Breuer prende consapevolezza del fatto che la sua angoscia è reale e profonda.

Nietzsche in modo molto razionale lo invita ad andare a fondo: a ricercare il significato dei suoi sintomi cercando di farlo riflettere su come sarebbe la sua vita senza di essi. I sintomi sono portatori di un messaggio che solo nel momento in cui verrà compreso permetterà la loro scomparsa. Forse anche Nietzsche sta prendendo coscienza.

La svolta nella vita di Breuer arriva quando Nietzsche lo porta a comprendere che la vita va vissuta al momento giusto; la morte non fa paura se si muore dopo aver consumato la vita. Per vivere però bisogna scegliere. Questo non aveva mai fatto Breuer: scegliere. Ma che cosa avrebbe dovuto scegliere? La scelta per lui, divenutone consapevole, è scegliere lui stesso la propria vita: sua moglie, il suo lavoro, i suoi amici. Riappropriarsi di questa vita ed essere felice di averla finalmente scelta.

E Nietzsche? Breuer sente di non poter fare molto, se non essere onesto con lui, essergli amico. Ed è proprio questo che alla fine il filosofo desidera più di tutto: un focolare. Non morire in solitudine. Essere amato e toccato. E così le lacrime iniziano a scendere sul suo viso. Lacrime soffocate a lungo che adesso reclamano la libertà. Nel momento in cui esprime la propria solitudine a qualcuno questa non esiste più e neanche la disperazione che da essa deriva. Le lacrime forti sono purificatrici.
Entrambi liberati, Breuer e Nietzsche si salutano e riprendono i propri separati destini.

Il romanzo di Yalom basato su informazioni in parte veritiere mette in luce aspetti importanti della psicoterapia.
Innanzitutto, la parola come possibilità di liberarsi dalle angosce che causano i sintomi.
La cura basata sul parlare, elaborata da Breuer in collaborazione con Freud e che Anna O. stessa ha definito“spazzare il camino” consiste fondamentalmente nel dire tutto ciò che viene in mente in un determinato momento e risalire da lì alle origini dei sintomi.

Naturalmente in tutto questo un presupposto fondamentale è la relazione.
La relazione è lo strumento terapeutico più potente perché è attraverso di essa che il paziente trova la fiducia necessaria per parlare di sé e per esplorarsi.
Solo nel momento in cui Nietzsche ha sentito Breuer veramente “amico”, ha potuto lasciarsi andare ad un pianto liberatorio.

Ovviamente è fondamentale la capacità empatica del terapeuta: Breuer riesce ad aiutare Nietzsche solo mettendosi nei suoi panni di paziente che soffre.

E’ la capacità di stare autenticamente nel mondo dell’Altro che ci permette di far sentire il paziente realmente compreso nei suoi vissuti.

La Reciprocità che il terapeuta può mettere in atto raccontando egli stesso qualcosa di suo, ribaltando i ruoli e parlando di sé, nel momento in cui il paziente non è in grado o non desidera esporsi è proprio quello che fa Breuer.

E infine altro aspetto importante è l’ascolto autentico e non giudicante da parte del terapeuta, che presuppone in parte di sapere più del paziente ma che in realtà non sa.
Solo il paziente ha in sé tutte le risposte, sebbene non riesca a vederle chiaramente se non con l’aiuto del terapeuta: Nietzsche ha sempre saputo di temere la solitudine ma il difficile per lui era ammetterlo. Solo con l’Altro al suo fianco si è sentito nella possibilità di lasciarsi andare alle emozioni e piangere.

“Per dare vita ad una stella danzante, occorre avere dentro di sé caos e confusione frenetica”.

Irvin D. Yalom
Le Lacrime di Nietzsche
Neri Pozza, 2006

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