martedì 4 gennaio 2011

13 gennaio 1957

Mita cara,
è accaduta a Leone Traverso una terribile disgrazia. Sua sorella si è uccisa il 9 gennaio, gettandosi dalla finestra. Era la sorella che per anni gli aveva fatto da madre. E' stato un attimo - il punto scoperto dell'armatura che trova sempre il destino. Per mesi e mesi non era rimasta sola. Era tornata la sera prima dalla clinica, apparentemente serena e libera da ossessioni.
Scriva a Leone due parole, se crede. E scriva a me, che non so più nulla di lei. Stavo terminando per lei un'altra lettera, che oggi mi sembra inutile. Ma forse gliela mando domani.
L'abbraccia, Mita, la sua
Vic.
(da Lettere a Mita - Cristina Campo - Biblioteca Adelphi 381)

Leone Traverso, che per noi italiani rappresenta la voce di  Rilke, di Hoffmansthal,  di Holderlin,  fu  la guida culturale e l’amore di Cristina Campo nella sua fase fiorentina, quella della giovinezza,  dopo l’infanzia che ha invece i colori e le ombre di Bologna, sua città natale. Ancora usava il suo vero nome, Vittoria Guerrini, oppure Vie, che è la firma che ritroviamo nelle lettere; oppure si nascondeva dietro il personaggio della Pisana, in un gioco di pseudonimi che Monica Farnetti ha ben indagato. 

Nel ’55 Vittoria si trasferisce a Roma, e ne derivano le lettere e l’esigenza di descrivere all’amato i nuovi paesaggi :  
“Vedessi, Bul, questo autunno romano! Velata di fogliame e d’acque passeggere, la città riduce le distanze… in una luce come sotto il tuo ombrello” (10 ott. ‘55); “In poche ore Roma si è avvolta nei colori – mille verdi, e soprattutto mille gradazioni di rosso, lilla, rosa pallido, viola” (26 apr. ’56). 

Ma nelle lettere troviamo anche le letture condivise (Eliot, Lawrence, Weil), le scritture e le traduzioni nel loro farsi (“raggi d’oro saettano da testo e versione”-27 dic. ’55), i malanni, l’impegno (la fase del processo a Danilo Dolci, per il quale Cristina si spese con grande energia),  i dolori.

 Cristina si trova accanto a Corrado Alvaro nei giorni della sua agonia, è con lui la notte della morte e con poche parole “esatte”, come solo lei sapeva comporre, rende il senso di quella morte: “Ad ogni amico che se ne va io racconto di un amico che resta; a quella infinita cortesia senza rughe ricordo un volto di quaggiù, torturato, oscillante.”

Leggiamo  nomi illustri,  versi, progetti di scrittura;  parole che poi saranno nelle poesie o nei saggi, che serviranno a chiarirne la poetica. I fili che emergono andranno intrecciati con gli altri epistolari, in particolare le “Lettere a Mita” che sono degli stessi anni e a volte trattano gli stessi temi.  

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