domenica 26 agosto 2012

Chiudere un occhio



Ho trovato uno scritto di Chris Hedges che mi piace molto e che ripropongo in versione ridotta, ma citandone la fonte, per chi volesse leggere l’intero.


"Le società civili vedono quello che vogliono vedere. Da una miscela di fatti storici e fantastici, creano miti di identità nazionale. Ignorano i fatti spiacevoli che disturbano l'auto-esaltazione

Le culture che durano dedicano un spazio riservato a coloro che mettono in dubbio e sfidano i miti nazionali. 
Artisti, scrittori, poeti, attivisti, giornalisti, filosofi, ballerini, musicisti, attori, registi e ribelli devono essere tollerati se una cultura vuole evitare il disastro. 

I membri di questa classe artistico-culturale, che solitamente non sono benvenuti nelle stordenti aule accademiche dove trionfa la mediocrità, fungono da profeti. Sono allontanati o etichettati come sovversivi delle élite del potere, perché non condividono il narcisismo collettivo dell'autoesaltazione. Essi ci obbligano ad affrontare tesi mai prese in considerazione, quelle per cui andremmo verso la distruzione se non le affrontassimo. 

Essi ci presentano le élite governanti come false e corrotte. Essi manifestano l'insensatezza di un sistema basato sull'ideologia della crescita senza fine, dello sfruttamento continuo e della costante espansione. Ci ammoniscono del veleno del carrierismo e della futilità di ricercare la felicità accumulando benessere.


E se una cultura perde la capacità di pensiero ed espressione, se realmente mette a tacere le voci dissidenti, se si rinchiude in quello che Sigmund Freud chiamava "ricordi di copertura", un miscuglio rassicurante di fatti e finzione, allora quella cultura muore. 

Si arrende il suo meccanismo interno di blocco delle auto-illusioni. 

Dichiara guerra alla bellezza e alla verità. Abolisce il sacro. Trasforma l'educazione in un corso di formazione professionale. 
Ci rende ciechi. 

E questo è ciò che è avvenuto. Ci siamo persi in alto mare durante la tempesta. Non sappiamo dove ci troviamo. Non sappiamo dove stiamo andando. E non sappiamo cosa ci capiterà. 

Lo psicoanalista John Steiner chiama questo fenomeno "chiudere un occhio". Fa notare che spesso abbiamo la possibilità di avere conoscenze adeguate, ma poiché è spiacevole e sconcertante decidiamo inconsciamente, e spesso consciamente, di ignorarle.

La prova tangibile della decadenza nazionale - lo sgretolarsi delle infrastrutture, l'abbandono delle aziende e di altri posti di lavoro, le file di negozi distrutti, la chiusura di librerie, scuole, stazioni dei pompieri e uffici postali - che vediamo accadere sotto i nostri occhi, passano in realtà inosservati. Il rapido e terrificante deterioramento dell'ecosistema, provato dall'aumento delle temperature, dalle siccità, dalle alluvioni, dai raccolti distrutti, le perturbazioni anomale, lo scioglimento dei poli e l'aumento dei livello dei mari, vanno perfettamente d'accordo con il concetto di "chiudere un occhio" formulato da Steiner. 

Ed è qui il dilemma che dobbiamo affrontare come civiltà. Ci dirigiamo collettivamente verso l'autodistruzione. Il capitalismo commerciale, se lasciato a briglia sciolta, ci ucciderà. Ciò nonostante, rifiutiamo di vedere cosa ci accadrà, perché non possiamo pensare né ascoltare ancora quelli che pensano, per capire cosa ci aspetta.

Abbiamo creato meccanismi di intrattenimento che offuscano e mettono a tacere la verità nuda e cruda, dal cambiamento climatico al collasso della globalizzazione, alla schiavitù del potere commerciale, il che significa per noi autodistruzione. 
Se non possiamo fare nient'altro dobbiamo, come individui, alimentare il dialogo privato e la solitudine che sviluppano il pensiero. Meglio essere un emarginato, uno straniero nel proprio paese, piuttosto che emarginati da se stessi. Meglio vedere quello che ci accadrà e resistere, piuttosto che ritirarci nelle fantasie condivise da una nazione di ciechi.


L'incapacità di pensare, scrisse la Arendt, "non è una debolezza di molti cui manca la capacità cerebrale di farlo, bensì un possibilità eventuale per chiunque - scienziati, studenti e non si escludono altri specialisti in attività intellettive." 




La nostra cultura commerciale ci ha effettivamente separato dall'immaginazione umana. 
I nostri strumenti elettronici si insinuano sempre più in profondità negli spazi che un tempo erano riservati alla solitudine, alla riflessione e al privato. 
Le nostre radio sono piene di baggianate e assurdità. 
L'istruzione e le comunicazioni disprezzano le discipline che ci permettono di vedere. 

Celebriamo mediocri capacità professionali e i ridicoli requisiti di test standardizzati. Abbiamo condotto in disgrazia chi pensa, inclusi molti insegnanti di materie umanistiche, cosicché non possano trovare occupazione, né sussistenza, né visibilità. Seguiamo il cieco nel precipizio. Facciamo guerra a noi stessi. 

La vitale importanza del pensiero, scrisse la Arendt, appare solo "in tempi transitori, quando l'uomo non si affida alla stabilità del mondo e al suo ruolo in esso, e quando le domande riguardanti le condizioni generali della vita umana, che come tali ci seguono dall'apparizione dell'uomo sulla terra, acquistano inconsueta intensità emotiva.". E' proprio nei momenti di crisi che abbiamo bisogno dei nostri pensatori e dei nostri artisti, ci ricorda la Arendt, perché ci forniscono racconti sovversivi che ci permettono di tracciare un nuovo corso, uno che ci possa assicurare la sopravvivenza. "

Chris Hedges


Fonte: www.truthdig.com/
Traduzione a cura di GIADA GHIRINGHELLI per www.comedonchisciotte.org


Chris Hedges è stato corrispondente estero per il New York Times  ha ricevuto il Premio Pulitzer. Vive a Princeton, New Jersey.

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