martedì 2 giugno 2009

Il totalitarismo e Hannah Arendt

Hannah Arendt nasce nel 1906 da una famiglia ebraica tedesca molto benestante e non praticante.
Anche se non riceve una educazione religiosa tradizionale, non negherà mai la propria identità ebraica, professando - in modo niente affatto convenzionale - la propria fede in Dio.

E' forse proprio grazie a questa fede che la Arendt si dedica per tutta la vita allo sforzo di comprendere il destino del popolo ebraico, identificandosi con le sue vicissitudini.

Fondamentali per le sue esperienze accademiche sono le città di Friburgo, Marburgo e Heidelberg, presso le cui sedi universitarie conosce Heiddeger e Jaspers. Jaspers le trasmette un amore profondo per la libertà, mentre grazie ad Heidegger si sviluppa in lei una sconfinata ammirazione per gli antichi Greci e per il loro sforzo di convivere con gli aspetti tragici della vita.

Sia che si tratti di passioni umane come il peccato, la rabbia o di sentimenti, di istituzioni o ordinamenti politici, Hannah Arendt si presenta con una indagine originale.

Nell'ambito del XX secolo, nessun altro teorico della politica riesce, come lei, ad unire una comprensione così profonda del male che può scaturire dall'attività politica, alla convinzione, altrettanto ferma e profonda, che la vita dedicata alla politica, qualora questa assuma la sua forma migliore, sia una delle più alte conquiste umane.

All'inizio degli anni sessanta del Novecento, la Arendt è decisamente già famosa per il suo discusso saggio sul totalitarismo, anche se il suo nome è legato all'inchiesta sul processo ad Eichmann, in cui l'autrice affronta alcuni aspetti controversi della storiografia sullo sterminio del popolo ebraico.

La Arendt presenta l'imputato del processo di Gerusalemme, il criminale di guerra Eichmann, nei panni di un ometto insignigicante, una sorta di piccolo burocrate della macchina nazista.

In realtà, l'autrice solleva la questione dell'interpretazione storica e politica del nazismo.

In effetti, se gli ingranaggi dell'apparato di sterminio non erano costituiti da membri degeneri del ceto degli Junker, oppure da semplici avventurieri, bensì da uomini della strada, da tipici rappresentanti della società di massa, l'interpretazione storica del nazismo diventa più "sociale" e "culturale", oltre che inquietante.

Non ci si può basare sulla follia di Hitler per comprendere il fenomeno del nazismo, o sostenere una generica e quanto mai indimostrabile inclinazione al delitto del popolo tedesco.

Hannah Arendt elabora una teoria, peraltro già presenta sull'opera del totalitarismo, secondo la quale, forme estreme e distruttive di dittatura, come il nazismo, sono in effetti in stretta relazione con la natura della società di massa e che, quindi, possono risorgere.

D'altra parte, nell'opera sul totalitarismo, la Arendt stabilisce una sorta di continuità culturale tra nazismo e stalinismo, specialmente riferendosi alle tecniche e alle pratiche del terrore, alla segretezza degli apparati e all'invasione della sfera privata.

La pluralità è il presupposto dell'azione umana, proprio perché noi siamo tutti uguali, ma in un modo tale che nessuno di noi sia mai identico ad alcun altro che visse, vive o vivrà.

Esercitare il potere significa "agire di concerto", cioé agire secondo decisioni condivise e non secondo la logica della solitudine.

L'attività lavorativa assicura tanto la sopravvivenza individuale quanto la vita della specie. L'operare e il suo prodotto, ossia l'arteficio umano, conferiscono permanenza e continuità alla limitatezza della vita mortale e alla labilità del tempo umano.

L'agire consente la realizzazione dell'identità umana, il rivelarsi di colui che agisce, l'apparire agli altri, il manifestarsi nella propria identità e differenza, anche all'interno di un elemento angosciante per l'umanità intera: l'imponderabilità.

Secondo la Arendt, l'agire umano è caratterizzato dal reciproco gioco della "parola", inteso come possibilità che i diversi esseri umani possano esprimersi sugli interessi comuni in uno spazio comune.

(Estrapolato da: "Trasmissione culturale ed educazione nella prospettiva di Hannah Arendt" Bertirotti A. - Psicolab, Firenze)

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