venerdì 6 marzo 2009

Dal "Mestiere di vivere"

L'epoca è pressapoco la stessa dei post precedenti, ma il luogo non è più l'America.

Dal diario di Cesare Pavese:

" 28 novembre 1949

Succede di notte, quando comincio ad assopirmi. Ogni rumore - scricchiolio di legno, frastuono in strada, grido lontano ed improvviso - mi risucchia come un gorgo, un repentino e ondeggiante gorgo, in cui mi crolla il cervello e crolla il mondo.
Nell'attimo attendo il terremoto, il finimondo.
E' un residuo di guerra, delle bombe aeree?
E' una raggiunta consapevolezza della possibile fine universale?

Esaurimento - è una parola ma cosa significa? E' piacevole, un sussulto leggero come d'ubriachezza, e mi riprendo a denti stretti. Ma se un giorno non ce la faccio a riprendermi?"

"1° dicembre 1949

Passeggiando sul lungo Po, davanti ai Monti dei Cappuccini. Imbrunire nebbioso, le ville scompaiono, restano i dorsi scuri, irsuti dei colli, selvaggi, sfumati. A che serve questa bellezza - che cosa significa almeno?

Tornano in mente i pensieri sul selvaggio superstizioso, sulla irrealtà del selvaggio, sul paesaggio magico - se ne conclude che esso influisca su di noi in modo in razionali, non misurabili, non prevedibili.

A che monta questo senso struggente del selvaggio, questa bellezza sobria e rude, questa commozione, se essa influisce su noi appunto soltanto come bellezza, come impressione?

Non è tutto ciò un raffinamento civile? Il selvaggio per essere deve influire vitalmente anche sull'analfabeta, sul villano, sull'uomo economico, deve essere potenza non bellezza"

"6 dicembre 1949

Il pensiero del 1° dicembre chiarisce come sono nati i fascismi. La cultura irrazionalistica dell'Ottocento dovette uscire dalla contemplazione e diventare potenza, economia. Smettere di servire al colto, e influire anche sull'analfabeta.

Origine della nostra barbarie"

"22 marzo 1950

Nulla. Non scrive nulla. Potrebbe essere morta.
Devo avvezzarmi a vivere come se questo fosse normale.

Quante cose non le ho detto. In fondo il terrore di perderla ora, non è l'ansia "del possesso", ma la paura di non poterle più dire queste cose. Quali siano queste cose ora non so. Ma verrebbero come un torrente quando fossi con lei. E' uno stato di creazione. Oh dio, fammela ritrovare."

"23 marzo 1950

L'amore è veramente la grande affermazione. Si vuole essere, si vuole contare, si vuole - se morire si deve - morire con valore, con clamore, restare insomma. ...

"25 marzo 1950

Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, infermità, nulla."

Da "Il mestiere di vivere" - Cesare Pavese - Einaudi Editore

Il diario si conclude il 18 agosto 1950.

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