domenica 4 gennaio 2009

Bisogno di silenzio

I pesci vivono in banchi, le api volano in sciami, ma alcuni animali - i gatti domestici, ad esempio - sono dei solitari.

Gli esseri umani mostrano entrambe le tendenze: noi siamo amanti della compagnia ma apprezziamo anche la solitudine. Viviamo in famiglie, in tribù e in città, eppure allo stesso tempo godiamo del piacere di essere soli. Lavoriamo in giardino, leggiamo e preghiamo per conto nostro.

Anche se passiamo la maggior parte del tempo con altre persone ci sono dei periodi in cui preferiamo stare in compagnia semplicemente di noi stessi e ritirarci dal trambusto del mondo per trovare il nostro 'spazio' privato.

Qui il silenzio ha un effetto curativo. Qui la solitudine aiuta a mettere a fuoco il senso fondamentale del mio essere.

Nel silenzio e nella solitudine troviamo spazio e tempo di godere in tranquillità la meraviglia senza tempo della coscienza: il miracolo di un argine ricoperto di aglio selvatico, ad esempio, o del volo di un picchio. Come nota Ronald Blythe, il rumore fa sì che udiamo ben poco; il silenzio ci fa captare suoni meravigliosi.

Un tempo il silenzio era tenuto in grande considerazione.

La ricerca della solitudine risale a tempi antichi ed ha le sue radici nelle filosofie cinesi, indiane ed europee.

A partire da Lao-Tse, Buddha, i Padri del Deserto e i primi eremiti Celti, passando per Rousseau, Henry David Thoreau e Thomas Merton fino al tempo presente, certi individui hanno rifiutato il materialismo delle società in cui vivevano preferendo la semplicità e la ricerca della saggezza spirituale.
Viaggiavano per trovare la solitudine.
Ascoltavano il silenzio e in esso udivano le pulsazioni creative del loro cuore.
Visitati dal silenzio imparavano che cosa giace nella profondità del proprio essere. In verità, chi ha il coraggio di stare da solo arriva a sperimentare tutto ciò che normalmente è ostacolato dall'esperienza, dalla brama o dal pregiudizio.
La verità di ciò può soltanto trovarsi nella pratica stessa, e neanche allora può essere espressa a parole.

Il silenzio viene dall'invisibile, dall'al di là, e farne l'esperienza significa venire a contatto con gli inizi delle cose, per rinnovarsi.

Come dice Thomas Merton: "La persona solitaria, ben lontana da chiudersi in se stessa, diventa una con tutti. Partecipa della solitudine, della povertà, dell'indigenza di ogni essere umano."

In quasi tutto il passato pre-industriale il silenzio si stendeva ovunque. Richard Rolle di Hampole (c.1300-1349), il padre del misticismo inglese, scrisse lodandone i numerosi pregi: "Grande piacere ho avuto stando seduto in luoghi selvaggi, così da più dolcemente cantare lontano dal rumore, e con cuore più leggero lodare Iddio, e senza dubbio ho attinto a questo dono per amare con meraviglia ogni cosa."

È anche vero che il silenzio non si trova più così facilmente ovunque. La nostra epoca è ostile al silenzio e così si perde anche il profondo rispetto per la natura.

La gente vuole rumore e luci e la loro assenza mette tutti a disagio. Ma non finisce qui: noi desideriamo ardentemente incessante divertimento e stimolazione.

Si distrugge il silenzio e si consuma di tutto: film, notizie, riviste, cibo, bevande, abiti, droghe, anti-depressivi, viaggi, partner sessuali e, naturalmente, denaro.

Parafrasando George Orwell: la nostra è una vita irrequieta, priva di cultura, che predilige i cibi precotti, la televisione, i giochi sul computer e il telefono cellulare.
A tale civiltà appartengono quelli che sono maggiormente a proprio agio nel mondo moderno di cui fanno indubbiamente parte: i tecnici e gli specialisti ben pagati, gli esperti di Tecnologia dell'Informazione, i cantanti rock, i giocatori di calcio e i presentatori dei più popolari spettacoli televisivi.

Orwell descriveva una società in cui siamo diventati ingranaggi di una ruota economica incontrollabile, un sistema di valori che non vede la gente in quanto esseri umani ma in quanto consumatori di cose.

Tutto lo proclama: gli 'spot' in TV, gli enormi affissi che magnificano i pregi delle automobili, la posta-spazzatura che promuove viaggi all'estero, la pubblicità su Internet: parole, immagini, suoni, comportamento, che raccontano tutti la stessa storia.

I critici del capitalismo si contano a migliaia, ma forse pochi di essi si sono avvicinati alla verità più di quanto non abbia fatto l'eminente psichiatra sociale di origine tedesca, Erich Fromm (1900-1980).

La persona comune, egli sostiene, oggigiorno è una straniera nell'universo: al livello più profondo essa sente la sua depressione, la sua noia, il vuoto che pervade la sua anima.

Sono questo vuoto e questa disaffezione che chiedono soddisfazione e vogliono essere riempiti dal rumore, dal possesso di cose materiali e dal divertimento. Eppure lo sappiamo tutti che il rumore e il divertimento ci fanno ancora più vuoti e bisognosi. Non ci rendono affatto più felici.

A parte la paura di ammalarsi o di essere umiliato dalla perdita di posizione sociale e di prestigio, la paura della noia gioca un ruolo massimamente importante fra le paure che minacciano l'uomo moderno. In un mondo di spassi e divertimenti, egli ha paura della noia ed è felice quando un'altra giornata è passata senza inconvenienti, un'altra ora è stata uccisa senza che lui si sia accorto della noia in agguato.
Erich Fromm

Queste parole sono state scritte all'inizio degli anni '60, in un tempo precedente l'avvento del riscaldamento globale del pianeta e dell'attuale vandalismo di cui è vittima il nostro patrimonio terrestre; ciò, dunque, era prima del saccheggio del pianeta di cui ora finalmente cominciamo ad essere sempre più consapevoli.

Perciò alla disperazione di Fromm per l'uccisione delle ore, noi possiamo aggiungere la nostra disperazione per la strage di tutta la vita sulla Terra. D'altra parte dobbiamo riconoscere che c'è una stretta relazione tra l'estinzione degli anfibi, dei mammiferi, degli uccelli, dei pesci e la nostra richiesta insoddisfatta di saziare l'enorme fame di stimolazione come pure l'entusiasmo per il materialismo: questi fenomeni formano un'unità.

E dunque possiamo dire che il silenzio e la solitudine non sono mai stati così importanti come in quest'epoca. Ci preservano dalla stanchezza estrema, dal fanatismo, dall'irrequietudine - da ogni eccesso; rimangono il terreno fertile della creazione, la sorgente della contemplazione, il luogo dell'attenzione totale e della comunione più intima, come avviene fra due amanti così affiatati da non aver bisogno di riempire lo spazio con parole. È solo nella solitudine e nel silenzio che la nostra vita è realmente presente, che noi rispondiamo veramente al battito del cuore dell'universo e siamo liberi di contemplare il miracolo dell'esistenza. Forse non il mondo della strada ma il mondo del qui e ora.

Da “Fiorigialli.it”

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